Una discussione alla Camera dei deputati del Congresso americano di almeno sei ore, con i Repubblicani che ne hanno chieste addirittura il doppio. Tempi lunghissimi per il terzo caso di impeachment nella storia americana (dopo Andrew Johnson, Nixon si dimise prima del voto e quello di Bill Clinton non venne mai ammesso), di cui sapremo il risultato solo oggi. Se alla Camera è prevedibile il sì alla messa in stato di accusa di Donald Trump grazie alla maggioranza democratica, esito contrario dovrebbe uscire dal Senato, anche se Andrew Spannaus, giornalista e analista statunitense fondatore di Transatlantico, agenzia di analisi e consulenza geopolitica, spiega come siano in corso incontri dietro le quinte per convincere quei Repubblicani, e non sono pochi, che non hanno mai sopportato il presidente eletto a votare contro di lui: “Ma è molto difficile che ciò accada, perché il 90% degli elettori repubblicani sostiene Trump: per loro sarebbe un atto politicamente assai pericoloso”.



Abuso d’ufficio e ostruzionismo nei confronti del Congresso sono i due capi di accusa pendenti su Trump: che ne pensa?

Abuso d’ufficio, o di potere, è un’accusa molto generica, può significare molte cose. Però, in mancanza di un reato circostanziato, è quello che i Democratici hanno scelto per dimostrare come Trump utilizzi i suoi poteri per vantaggi personali. Mischiare la politica estera con un caso personale rappresenta un’azione poco corretta, ma che sia un reato è tutto da discutere. In realtà, il nodo della questione è legato alla battaglia che si sta conducendo contro il presidente sin dal primo giorno.



E l’ostruzionismo verso il Congresso?

Questa la trovo più difficile da giustificare. Se è vero che la Casa Bianca non ha lasciato testimoniare alcune persone, i Democratici lo hanno fatto invocando il privilegio esecutivo, che è un principio vero, ma la questione è: hanno esagerato?

In che senso?

Se c’è stato ostruzionismo, lo devono decidere i tribunali, ma i Democratici non hanno voluto perdere tempo ricorrendo ai tribunali, perché avrebbe significato un rinvio di mesi. Quindi hanno deciso di giudicare in anticipo: non mi sembra un metodo corretto.

Lo scopo è usare l’impeachment per incriminare Trump o usare il procedimento per metterlo in cattiva luce e fargli perdere consenso elettorale?



Né l’una né l’altra cosa, lo scopo è un altro. Lo scopo vero è di metterlo in un angolo, limitarlo. Per l’establishment bipartisan che c’è in America Trump è andato troppo in là nel mischiare la politica nazionale con quella personale. L’impeachment serve per tarpargli le ali e per garantire che le istituzioni siano compatte contro alcune sue iniziative.

Cosa può dirci di quanto accade in campo repubblicano?

C’è qualcuno che nutre ancora, dato il voto segreto, il sogno che i senatori repubblicani possano abbandonare Trump. Anzi, qualcuno in realtà ci sta lavorando.

Si parla infatti di incontri segreti con alcuni senatori repubblicani per convincerli a votare sì all’impeachment. Le risulta?

C’è un lavorio dietro le quinte per cercare di convincerli, visto che buona parte dei Repubblicani che non erano suoi sostenitori lo sono diventati per necessità, visto che il 90% della base repubblicana sostiene Trump. Rimangono dietro le quinte perché la metà del paese, secondo gli ultimi sondaggi, è contraria all’impeachment: siamo al 49% contro il 46% a favore. Ma come detto, l’elettorato repubblicano non ha abbandonato Trump e per un politico repubblicano sarebbe un po’ rischioso votare contro di lui.

Secondo le ultime notizie, ci sarebbero una quarantina di deputati ancora indecisi. È così?

Mi sembra un numero esagerato. Ci sono alcuni democratici indecisi, alcuni che voterebbero no, ma quelli dichiarati si contano sulle dita di una mano. Secondo l’Associated Press c’è una lista precisa di chi vota e come, pochi democratici voteranno no e nessun repubblicano sì. A parte Mitt Romney, che è stato critico nei confronti del presidente e non sarebbe certo una sorpresa se decidesse di votare sì.

Secondo i media italiani Trump sarebbe comunque spacciato, a prescindere da come andrà il voto. Corrisponde alla realtà?

No, non corrisponde alla realtà. Per ora Trump è in una posizione forte; pur con debolezze importanti, non è affatto fuori dai giochi per il 2020. Il suo livello di sostegno non è cambiato rispetto a prima dell’apertura dell’impeachment, anzi sta guadagnando tra i neri e gli ispanici.

Come mai?

Ci sono innanzitutto due motivi. Il primo è che Trump dice che grazie a lui ci sono più posti di lavoro, quindi possono essere contenti. Ma c’è anche un altro fattore che pesa fra gli afroamericani: un presidente sotto attacco per degli scandali che sono ritenuti tali da una minoranza è qualcosa di poco convincente. Molti elettori si identificano con queste persecuzioni, con la vittima.

Veniamo al caso Bloomberg. Nell’ultima intervista ci diceva che non ha alcuna possibilità: è ancora così? A chi può dare fastidio la sua candidatura?

Bloomberg si è candidato perché ha paura di Elizabeth Warren e di Bernie Sanders, vuole riportare il partito democratico al centro. Dà fastidio alla sinistra, ma in realtà la Warren lo usa a suo favore, presentandolo come il miliardario che vuole comprare l’elezione. Ai voti non può vincere, la sua speranza è che nessuno avrà il numero di delegati per vincere alla convention. Confida in uno stallo. In tal caso, Bloomberg si presenterebbe come l’uomo vincente. Confermo che ha questa ambizione, ma deve ancora convincere gli elettori, nonostante i milioni di dollari che spenderà.

(Paolo Vites)