Impeachment. Gira e mista, mista e imbroglia ci siamo arrivati. Cosi va la politica: tutti girano, tutti rimestano, ma chi è che imbroglia? È Trump, che baratta armi e denari per informazioni che compromettono i suoi rivali, o i Democratici che non sapendo più come fermarlo si rivolgono alla “Giustizia”? Abbiamo tutti presente di cosa stiamo parlando? Quel che Nancy Pelosi ha fatto l’altro ieri è in un buona sostanza una denuncia. La speaker della House of Representatives (la Camera degli Usa) ci ha detto che è ora di incriminare il presidente.



Per cosa si può incriminare un presidente? La costituzione americana lo dettaglia: “Treason, bribery, high crimes and misdemeanors”, ovvero, tradimento, corruzione, gravi crimini e delitti”. Certamente le ultime due categorie aprono la porta ad una varietà di possibili fronti d’attacco: falsa testimonianza, abuso di autorità, abuso cronico di sostanze, evasione fiscale, intimidazioni… Da questo punto di vista rispetto a Trump sembrerebbe esserci solo l’imbarazzo della scelta. Ma il cammino procedurale è lungo, molto lungo e complesso. Va ricordato che se è vero che da Reagan in poi tutti i presidenti hanno ricevuto minacce di impeachment, è anche vero che all’impeachment di un presidente nella storia degli Stati Uniti d’America si è arrivati solo due volte: con Andrew Johnson nel 1868, col paese appena uscito dalla devastante guerra di secessione, e nel 1998-99 con Bill Clinton non perché si fosse immoralmente trastullato con Monica Lewinski, ma per aver spergiurato di non averlo fatto. In ogni caso né Johnson né Clinton dovettero lasciare la Casa Bianca. Mancanza di voti.



Come funziona il processo di impeachment?

Tutto comincia alla Camera, la House of Representatives. Si nomina una Commissione di inchiesta e di lì, si trovasse qualcosa di incriminabile in base al dettato costituzionale, ad indagini svolte la cosa ritorna alla Camera, che a maggioranza semplice delibererà in merito al procedere. E fino a qui i Democratici potrebbero arrivare facilmente, visto che alla House of Representatives hanno i numeri per fare quel che vogliono.

La questione però a questo punto passa al Senato che, eccezionalmente sotto la guida della Corte Suprema, dovrà esprimere il suo voto. Maggioranza richiesta, due terzi. E qui – se non prima – casca l’asino, perché dando per scontato che tutti i Democratici votino compatti, occorrerebbero 20 voti Repubblicani per mandare Trump alla ghigliottina. Con Clinton i Repubblicani i numeri li avrebbero anche avuti, eppure… eppure all’estromissione del presidente non siamo mai arrivati. Forse ci si sarebbe arrivati con Nixon ed il suo Watergate, ma costui ebbe il buon senso di dimettersi. La storia ci insegna anche che lanciarsi all’assalto del presidente viene letto come un segno di impotenza ed il partito d’assalto spesso finisce per pagare un prezzo politico (ed elettorale) elevato.



Cosi è sempre andata, ma oggi? C’è ancora oggi quella sorta di coscienza sociale e morale che pone il bene del paese al di sopra degli interessi di partito? Perché è questo che salvò Clinton nel ’99, ed è questo che fino a primavera faceva dire a Nancy Pelosi che mai e poi mai avrebbe appoggiato le istanze di impeachment che volavano tra i suoi compagni di partito come aeroplanini di carta in una classe di discoli. “Impeachment is so divisive to the country…”, l’impeachment divide il paese così tanto… Vero, verissimo signora Pelosi. Era vero a primavera quando lo ha riaffermato e resta vero in autunno, come lo era nel 1999.

Questa faccenda con l’Ucraina è abbastanza per farle cambiare idea? Non siamo già abbastanza divisi tra questioni di politica, di razza, gender, reddito, bolle…? Chi, che cosa può ricucire questa realtà sempre più sbrindellata?

God Bless America