Il processo di impeachment contro Donald Trump viene a complicare ancor di più uno scenario internazionale già estremamente preoccupante, come emerge anche da diversi recenti articoli sul Sussidiario. Al di là del suo esito finale, il processo di per sé ha conseguenze negative sia all’interno degli Stati Uniti che al di fuori di essi. Malgrado l’affievolimento del loro ruolo, gli Usa rimangono la maggiore potenza mondiale e una crisi istituzionale grave come l’attuale non può essere ridotta a un evento di politica interna.



Su questo fronte, l’elemento che più emerge è l’estrema polarizzazione del Paese, non solo tra i due partiti che si affrontano nel Congresso, ma anche tra i normali cittadini, come evidenziano i sondaggi. Alla House of Representatives (Camera dei deputati), i Repubblicani hanno votato compatti contro l’apertura del processo di impeachment e tra i Democratici solo due hanno votato contro l’impeachment, uno ha votato solo per uno dei capi di accusa e un’altra si è astenuta.



Se la maggioranza repubblicana al Senato mantenesse la stessa compattezza di voto, Trump verrebbe assolto, come peraltro ci si aspetta. In casa democratica si spera che il voto segreto spinga a votare per la condanna almeno una parte dei senatori repubblicani avversi a Trump. Tuttavia, come sottolinea Andrew Spannaus nella sua intervista, è difficile che ciò accada, dato l’elevato gradimento di The Donald tra l’elettorato repubblicano. Trump sta anche approfittando del periodo positivo per l’economia americana, che attribuisce naturalmente alle sue politiche. I Democratici, inoltre, devono ancora individuare un candidato forte per le presidenziali,  con esito incerto anche in caso di improbabili dimissioni di Trump.



L’impressione è quindi che contino non tanto sulle dimissioni, quanto su un indebolimento di Trump, che faciliti la vittoria del loro futuro candidato. In questo senso viene letta la cautela di Nancy Pelosi, presidente della Camera, nel gestire il processo verso l’impeachment. Anche dopo il voto della Camera, ha dichiarato che passerà la pratica al Senato solo quando sarà sicura che il dibattito avverrà in modo corretto e aperto a tutte le testimonianze. Il leader repubblicano al Senato ha però già dichiarato che il processo sarà molto rapido e, ovviamente, con esito assolutorio. 

I toni dello scontro continuano a salire, con i Democratici che traducono in “Gang of Putin” la sigla Repubblicana Gop (“Great Old Party”), e Trump che parla di “caccia alle streghe” e di “giustizia medievale”. La prossima campagna elettorale si sta trasformando in un vero e proprio referendum sulla persona di Trump, con esiti piuttosto dubbi ma con ampi strascichi sulla scena politica americana. È da tener presente che in concomitanza con le presidenziali si terranno anche le elezioni per il rinnovo totale della Camera e di 35 seggi al Senato, più tredici governatori di Stato.

Sul fronte esterno, gli Stati Uniti devono fronteggiare maggiori difficoltà sia nei confronti degli alleati che degli avversari. La maggiore accusa a Trump è di aver ricattato il presidente ucraino minacciando il taglio degli aiuti militari se non avesse indagato l’operato di Hunter Biden in Ucraina. Costui è il figlio dell’ex vicepresidente Joe Biden, per il momento il candidato di punta democratico alle presidenziali, che sarebbe stato “appoggiato” dal padre per ottenere un ben pagato ufficio presso una società ucraina operante nel settore gas. Trump tenta di far passare l’operazione come una forma di aiuto al neoeletto Zelensky nella sua lotta all’endemica corruzione del Paese, ma la questione rimane quantomeno discutibile. Tuttavia, anche i Democratici devono muoversi con prudenza, perché potrebbero emergere delle opache collusioni tra l’amministrazione Obama e il precedente presidente ucraino Poroshenko in funzione anti-Trump. La vicenda risale infatti al 2016. 

Comunque sia, gli ucraini non possono aver gradito di essere così disinvoltamente usati da entrambi i contendenti statunitensi per i loro affari di partito. Né gli sviluppi sembrano più tranquilli sul fronte europeo, con i continui scontri con Francia, Germania e altri Paesi, tra cui l’Italia, su temi rilevanti come la Nato, le tariffe commerciali, sui rapporti con la Russia, vedi il Nord Stream 2, o con la Cina, vedi la Nuova Via della Seta.

Di certo, Russia e Cina non possono che trarre vantaggio dal caos interno agli Usa e lo stanno ampiamente dimostrando con la continua espansione delle loro aree di intervento e influenza. Magari approfittando di “alleati” di Washington intenti a perseguire loro particolari obiettivi, come per esempio la Turchia. Non vi è dubbio che la politica estera di Trump possa, e debba, essere messa in discussione, se non altro nelle sue modalità. Alcune alleanze, poi, sono state estremizzate oltretutto su un piano personale più che di Stato, come quelle con Netanyahu o Mohammed bin Salman, personaggi che stanno diventando del tutto scomodi per lo stesso Trump.

A questo punto, non si può che essere d’accordo con Riro Maniscalco e la citazione nel suo editoriale di un brano di George Washington che, già nel 1796 , denunciava il pericolo insito “nel dominio alternato di una fazione sull’altra”, che può condurre a “cercare sicurezza e riposare nel potere assoluto di un individuo”. Un avvertimento che non riguarda certamente solo gli Stati Uniti e che non si limita al pur “eccessivo” The Donald.