Secondo il Comitato tecnico scientifico, gli impianti di risalita potranno cominciare la loro stagione dal 15 febbraio. Potranno, ma non è detto che tutti lo faranno. Perché ci sono ancora tante incertezze: prima tra tutte la possibilità di viaggiare tra regioni, una questione ancora aperta, almeno fino allo scadere del dpcm che ne imponeva il divieto, giusto il 15 febbraio (ma già si prevedono nuove proroghe). Su questo punto il Cts non si è ancora espresso, lasciando per ora la mobilità confinata all’interno delle singole regioni, purché in fascia gialla. Ed è scontato che quando il divieto cesserà (la presidente dell’Associazione nazionale esercenti funiviari Anef Valeria Ghezzi lo sta chiedendo a gran voce), gli spostamenti saranno consentiti esclusivamente tra territori tutti gialli, una faccenda legata, com’è noto, ai dati che ogni venerdì stabiliscono poi la tavolozza nazionale.
Ovvio che, se i comprensori sciistici della Lombardia possono contare su un bacino di utenti sufficientemente popolato, altre località vivono di sportivi provenienti da altrove: con solo i residenti non potrebbero sopravvivere. E proprio la sopravvivenza degli stessi impianti, nonostante il via libera dal 15, resta quindi ancora incerta quanto incerto è l’evolversi della situazione contagi: già sarà un successo restare “gialli” fino a metà febbraio, ma se i numeri dovessero successivamente peggiorare, le chiusure sono sempre dietro l’angolo. Ma c’è di più: “Non voglio pensare – ha aggiunto Ghezzi – che le imprese interrompano la cassa integrazione per i dipendenti e poi magari la prossima settimana ci dicano che non tolgono il divieto di spostamento”.
Sembrano scommesse, insomma, e sono tanti gli operatori che non hanno nessuna voglia di impegnarsi, in questa situazione, nelle costose fasi preliminari alle riaperture (assunzione degli stagionali, preparazione delle piste e via dicendo) al buio. Così a Sestriere o Bardonecchia, ad esempio, si aspetta di capire meglio. C’è poi anche chi ha fatto già due conti: secondo le regole del Cts, gli impianti di risalita coperti possono arrivare a una capienza del 50%, e alla ski area può poi accedere il 30%: così, ad esempio, su tremila potenziali sciatori, potranno effettivamente sciare solo in 450. Per compensare gli sforzi, dunque, si dovrebbe calcolare una super affluenza per tutti i giorni di quest’ultimo scampolo di stagione.
Nebbia fitta anche sul come ci si dovrà comportare nei comprensori sciistici, e sono tanti, che travalicano i confini regionali… Ci si dovrà fermare a mezza pista? Ci saranno minidogane controllate?
Mentre non si pone proprio il problema per comprensori storici dell’Alto Adige, quali Dobbiaco, San Candido, Bressanone, l’Alta Badia, la Val Gardena e altri quaranta (387 impianti di risalita per 1252 chilometri di piste), che subiranno il lockdown totale di tre settimane, fino a fine febbraio, deciso da Bolzano, visti i dati in costante peggioramento, con la mappa dell’Ecdc (Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie) che ha confermato il territorio in rosso scuro, con forte contagio, dove la soglia dei 500 casi ogni centomila abitanti viene quotidianamente superata.
Resta infine la questione alberghi, strettamente legata ai destini degli impianti. Per gli hotel i problemi sono simili: alti costi di riapertura e le stesse, moltissime incertezze. Alla fine, sia per impianti che per alberghi, il via libera dal 15 febbraio potrebbe risultare utile solo per le strutture a dimensioni ridotte, piste poco costose da allestire, alberghi a gestione familiare. Per le altre situazioni, la stagione sembra definitivamente archiviata, con tutte le gigantesche perdite che nessun ristoro sembra finora in grado di compensare.