Che l’elefantiaca burocrazia italiana fosse una zavorra per il tessuto produttivo si sapeva. Non si sapeva fino a che punto lo fosse. La Fondazione David Hume, in collaborazione con la Stampa, e basandosi sui dati dell’indagine Banca Mondiale-Doing Business, ha misurato con precisione il fardello. Ne è emerso che, per gli imprenditori italiani, è il nemico assoluto. Più delle tasse. Che, per lo meno, si sa a quanto ammontano. L’ingarbugliamento nelle procedure burocratiche, invece, è un costo occulto non preventivabile. E, in ogni caso, altissimo. Si pensi che, mediamente, seguire le proprie vicende fiscali sottrae a un’azienda 285 ore l’anno, 36 giorni lavorativi, il 46% in più della media Ocse (195 ore) e il 75% in più dei Paesi Ue. Il che, si traduce in un esborso di 2.6 miliardi di euro annui. Aprire un’attività, poi, incide il 18,2% sul reddito pro capite, contro una media Ocse del 5,1%. Per non parlare del tempo che ci vuole per aprire un magazzino, sovente complemento necessario della propria attività imprenditoriale: 258 giorni, contro i 166 della media europea. Daniele Marini, direttore della Fondazione Nord Est, che ha condotto ricerca analoghe, spiega a ilSussidiario.net in cosa consiste l’anomalia italiana. «Svariati studi, nel corso degli anni, hanno certificato che, effettivamente, il peso della burocrazia è diventato per le imprese insopportabile». I motivi per i quali i costi degli adempimenti burocratici superano, spesso, quelli fiscali, sono, prevalentemente, due: «Anzitutto – afferma -, rispetto agli altri Paesi europei, il nostro è connotato da un eccesso legislativo, una massa di leggi esondante rispetto alle necessità reali e che grava sulle aziende, obbligandole a moltiplicare il proprio lavoro». Il secondo motivo, riguarda le singolari caratteristiche del nostro sistema produttivo. «Come è noto, 9 imprese su 10 hanno meno di 10 dipendenti; ma l’ammontare della burocrazia è uguale per tutti. Va da sé che, di fatto, il carico dei costi è inversamente proporzionale alle dimensioni dell’azienda. Mentre quelle grandi possono permettersi un ufficio che si occupa esclusivamente di seguire le pratiche burocratiche, il titolare di una piccola è costretto a starci dietro personalmente, sottraendo ore alla propria attività, o ad affidarle a un commercialista, pagandolo profumatamente».



Sul da farsi, dal punto di vista delle iniziative politiche, siamo in alto mare. «La questione è presente nel dibattito. Sarebbe opportuno un processo di sburocratizzazione e di semplificazione legislativa. Ma la soluzione è ben lungi dal venire». L’incidenza della nostra burocrazia  è originata da cause di natura culturale. «In Italia disponiamo di una cultura giuridica imperante. Il che ha alimentato una produzione legislativa enorme; tuttora, inoltre, risentiamo del processo di unificazione. Essendoci più “Italie” si ritenne che imponendo più norme si sarebbe ricondotti i cittadini a comportamenti virtuosi».



Infine, ancora oggi, prevale un atteggiamento di generalizzata sfiducia nei confronti del privato. «L’imprenditore è spesso guardato con sospetto, quasi fosse portatore di bassi interessi personali, incapace di guardare al bene comune. Si è pensato di arginare preventivamente eventuali doli con il proliferare di norme. Come unico effetto si è prodotto l’adagio “fatta la legge, trovato l’inganno”».

 

(Paolo Nessi)

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