Nel 2013 il Pil italiano sarà negativo, pur passando dal -2,4% del 2012 al -0,7%, ma il Bel Paese a partire dall’anno prossimo uscirà dalla recessione. E’ quanto emerge dal bollettino economico della Banca d’Italia, secondo cui a livello nazionale si riducono i costi del credito e gli interessi delle banche per i prestiti a famiglie e imprese, anche se restano più elevati rispetto alla media dell’area euro. Chi non sembra credere a una ripartenza è Giorgio Squinzi: il Presidente di Confindustria ha infatti criticato l’operato del governo, spiegando che “non ci sono provvedimenti incisivi per la ripartenza, in particolare per quanto riguarda ricerca, innovazione e infrastrutture”. Per fare il punto della situazione, ilsussidiario.net ha intervistato Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.



Professore, davvero, come afferma Bankitalia, nel 2013 usciremo dalla recessione?

Una componente di rilievo è legata a una ripresa del commercio mondiale e quindi delle esportazioni verso alcune grandi aree come la Cina e il Sudamerica. E’ uno scenario probabile, ma va tenuto conto del grado di incertezza molto forte che esiste nell’economia e nella politica. Basti pensare alla scadenza delle elezioni tedesche. La previsione di Bankitalia è probabilmente legata a una congettura ragionevole di una ripresa del commercio mondiale nella seconda parte dell’anno prossimo. L’impatto più significativo per la crescita non può però che venire dalla domanda interna, che in Italia continua a essere molto compressa. Inoltre, anche ipotizzando una ripresa dello 0,5%, il prodotto pro capite ormai è crollato agli stessi livelli della fine degli anni ’90.



Monti parla di crescita, ma la sua austerity non ha favorito la recessione?

Da un recente rapporto del Fmi relativo alle politiche fiscali, emerge che l’austerity produce un effetto di moltiplicatore delle scale che risulta essere molto più elevato del previsto in una fase di crisi finanziaria come quella attuale.

Cosa significa in parole povere?

Se la politica di austerità riduce la crescita oltre una certa soglia, ci si ritrova nella situazione di partenza. Il governo Monti si è preoccupato molto dei conti pubblici, ma il grande assente è una politica di equità, che è importante per mantenere il Paese coeso e non perdere il consenso, e nello stesso tempo è una premessa per la ripresa.



In che modo la tassazione può essere resa più equa?

L’ultima manovra, basata sulla riduzione delle aliquote e sull’aumento dell’Iva, già di per sé molto discutibile, diventa un grande problema nel momento in cui ci si dimentica totalmente delle misure per la famiglia. Per il governo Monti, da un punto di vista fiscale che un nucleo familiare sia composto da una persona o da cinque non fa nessuna differenza. Si finiscono per colpire delle politiche di welfare che in tutti i Paesi europei avanzati hanno una natura anticiclica.

 

In che senso “anticiclica”?

 

Quando le cose vanno male, si cerca di fare di più per le classi disagiate, non di meno. La questione è delicata, soprattutto per quanto riguarda le indennità di accompagnamento per la disabilità, che su iniziativa del governo Monti sono assoggettate alla contribuzione e dunque di fatto sono ridotte.

 

L’austerity non sta colpendo indiscriminatamente in tutta Europa?

 

No. Nei Paesi europei che hanno maggiore capacità di risposta alla crisi, c’è un’attenzione alle politiche sociali di welfare che sono molto strutturate, organizzate e organiche, in una misura che purtroppo in Italia non si vede. Non è solo un problema sociale, ma anche un freno alla ripresa.

 

Squinzi ha criticato il governo, affermando che non c’è stata “nessuna misura incisiva per la ripartenza”, e ha aggiunto che “la riduzione dell’Irpef va bene per le famiglie ma non per le imprese”.

 

Sono dichiarazioni molto interlocutorie. Mi risulta difficile trovare in che cosa con questa manovra le famiglie ci guadagnino. E’ vero che c’è una riduzione di due punti delle aliquote Irpef, ma anche il meccanismo delle detrazioni è stato cambiato, ed è stato previsto un aumento dell’Iva. Il saldo netto per ciascuna famiglia consumatrice è molto, troppo variabile.

 

Condivide le critiche al governo dal punto di vista delle imprese?

Sì. Manca un vero stimolo alla domanda interna, esportazioni e commercio mondiali sono rallentati, e quindi globalmente le previsioni di Fmi e Ocse sono tutte per una decelerazione. Questa manovra avrebbe potuto essere un elemento positivo se fosse stata uno stimolo alla domanda interna. Onestamente però così non è.

 

Sempre per Bankitalia, gli investimenti stranieri sui titoli italiani sono in crescita. E’ un segno del fatto che abbiamo scampato il pericolo?

 

Andrei cauto nel dire che abbiamo scampato il pericolo. E’ vero che in questo momento i titoli di Stato italiani sono interessanti per gli investitori finanziari che cercano buoni rendimenti. Ormai ci siamo assestati su un differenziale dei tassi di rendimento sull’ordine dei 350 punti base.

 

(Pietro Vernizzi)