Ancora leggi fatte male. Ancora leggi non comunicate a Bruxelles. Ancora aiuti di Stato dati (si suppone) di nascosto. La notizia è semplice: la commissione Ue ha aperto un’indagine per verificare se è compatibile con il regime europeo dei sussidi una legge del 2002 che prevede una serie di riduzioni delle imposte, dei contributi previdenziali e assicurativi obbligatori a favore delle imprese delle zone colpite da calamità naturali. La domanda che si pone l’Ue è semplice: siccome in questi casi i sussidi alle imprese non possono eccedere il 100% del valore del danno subito, siamo sicuri che quella legge non permetta alle imprese danneggiate di ottenere dallo Stato più di quanto hanno perso?



Il fatto è che già dopo il terremoto del 1990 in Sicilia e le inondazioni del 1994 nel Nord, l’Italia ha adottato una serie di leggi che permettevano di sospendere e prorogare il versamento di imposte e contributi da parte delle imprese situate nelle zone colpite. Poi, nel 2002-2003, l’Italia ha introdotto misure che riducono del 90% il debito fiscale e contributivo delle società interessate. Successivamente nel 2007, nel 2010 e nel 2012 la Corte di Cassazione ha stabilito di applicare retroattivamente quella legge del 2002 anche alle imprese colpite dalle calamità di anni prima. Il problema è che molte di queste avevano già pagato tasse e contributi in misura superiore rispetto a quella prevista dalla norma del 2002 e, per questo, hanno intasato i tribunali con centinaia di ricorsi per ottenere indietro la differenza.



L’anno scorso uno di questi tribunali ha chiesto alla Commissione Ue chiarimenti su come applicare le sentenze della Cassazione. Da qui l’avvio della procedura, che è stata allargata ad altre leggi simili che prevedono agevolazioni del 60% per le imprese di Umbria e Marche (1997), Molise e Puglia (2002), Abruzzo (2009) e Sicilia dove una legge ha ridotto del 50% gli importi dovuti da società situate nell’area colpita dall’eruzione vulcanica e dal terremoto del 2002.

Per le imprese che erano basate in zone colpite da calamità, la Commissione aveva già approvato aiuti ad hoc, ma nessuno l’aveva avvertita della legge del 2002 che superava i vantaggi stabiliti dalle norme precedenti. Da qui il caos. Anche perché secondo la Commissione alcune delle misure approvate potrebbero riservare dei vantaggi anche alle imprese che non sono state nemmeno sfiorate dalle calamità naturali.



Un esempio che ha fatto storia è quello della Dr Motors Company, la società di Massimo Di Risio candidata (per un attimo) a rilevare lo stabilimento siciliano di Termini Imerese che la Fiat ha abbandonato. La sua Dr ottenne 5 milioni di euro come risarcimento per un’alluvione e un terremoto che colpì San Giuliano di Puglia, che sta a 110 chilometri di distanza dalla sede della società, a Macchia d’Isernia.

Il fatto è che se alla fine dell’indagine la Commissione stabilisse che le misure sono incompatibili con la normativa Ue sugli aiuti di Stato, l’Italia dovrà recuperare gli aiuti versati ai beneficiari. E per evitare che questo accada la Commissione ha chiesto all’Italia di bloccare le misure fino alla fine del procedimento. Questo significa che le imprese emiliane colpite recentemente dal terremoto, così come quelle danneggiate o distrutte dal sisma dell’Aquila, non possono accedere ai benefici della legge del 2002 e, se lo hanno fatto, potrebbero essere costrette a restituire i risparmi fiscali e previdenziali previsti da quella norma. A meno che l’Italia non approvi in fretta e furia una nuova legge che conceda i sussidi. Comunicandola all’Ue, questa volta.

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