Il ddl sulla stabilità presentato dal Governo contiene l’abrogazione della norma che prevedeva l’applicazione dell’Iva al 4% per le prestazioni socio-sanitarie ed educative rese da cooperative. In virtù di questa norma, le cooperative si trovavano a poter scegliere tra l’applicazione dell’esenzione Iva – che però comporta l’indetraibilità dell’Iva sugli acquisti, e dunque non è una scelta conveniente per le cooperative che hanno molte voci di costo gravate da Iva, come ad esempio quelle che acquistano o ristrutturano i locali in cui operano – o l’applicazione dell’Iva al 4%. La manovra sulla stabilità ha innalzato al 10% l’Iva su tali prestazioni.



Questo inasprimento va a toccare da una parte soggetti – le cooperative sociali – che in molti casi da tempo vedono ipotecata la possibilità di una continuità; dall’altra tipologie di prestazione di cui beneficiano direttamente i cittadini e che in alcuni casi sono pagate dai cittadini stessi, in altri da enti locali.



Per una completezza di esposizione, è corretto ricordare che le cooperative sociali sono uno dei principali creditori dell’amministrazione pubblica e i loro bilanci sono pesantemente gravati dagli oneri finanziari generati dalla dilazione dei pagamenti. Inoltre, la generale revisione delle spese ha portato gli enti pubblici a economizzare su molte delle prestazioni che esse erogano e pertanto a erodere ogni loro margine economico.

Questo innalzamento dell’Iva, ove non potrà trasformarsi in maggior prezzo richiesto alle pubbliche amministrazioni, si trasformerà in minori ricavi per le cooperative. Laddove, poi, il prezzo delle prestazioni gravi direttamente sulle famiglie – si pensi ad esempio alle prestazioni educative – la situazione è forse addirittura più seria.



Le cooperative si troveranno a dover fare la difficile scelta tra l’aumento della retta – che in tanti casi renderebbe impossibile la fruizione del servizio da parte delle famiglie, direttamente colpite da questo provvedimento anche attraverso la riduzione delle detrazioni – o l’accollo del maggior onere – che invece rischia di rendere non sostenibile l’intrapresa. Questo provvedimento si aggiunge a quello sull’Imu, che per tutti comporta un onere maggiore rispetto all’imposizione precedente.

Si tenga conto, inoltre, che la cooperazione sociale ha quale componente principale dei propri bilanci il costo del lavoro: le maggiori imposte, in esse, si trasformano normalmente in contrazione dei salari, che mediamente sono già molto bassi.

Questo quadro sommario, ma rispettoso di molta parte delle situazioni di cui sono a conoscenza, porta a chiedersi ancora una volta se ci sia una chiara percezione della sofferenza e precarietà in cui tante realtà del privato sociale si trovano e di ciò che questa precarietà comporta: migliaia di posti di lavoro e molte prestazioni di cui godono oggi le famiglie e molti soggetti deboli a rischio.

È evidente a tutti che l’attuale sistema di welfare non è in grado di reggere e che è ormai indispensabile una riforma strutturale che premi la qualità delle prestazioni erogate. Mentre auspicano e attendono adeguate riforme, tanti soggetti che potrebbero essere protagonisti attivi di un futuro nuovo welfare corrono il rischio di non reggere il peso insostenibile che è caricato sulle loro spalle e di soccombere prima di giungere all’agognata “terra promessa”.

Credo che sia importante che chi governa inizi a interrogarsi sul prezzo dei sacrifici e su quali soggetti esso grava e a rendersi conto che senza questi soggetti la condizione delle persone e delle famiglie del nostro Paese sarebbe decisamente peggiore.

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