Dopo aver osservato (nell’articolo dell’11 ottobre) alcuni aspetti della cartina economica europea, il primo confronto che salta all’occhio è quello tra Italia e Germania: così come esiste uno spread sui debiti sovrani, esiste un differenziale di credito tra industrie tedesche e italiane?

La domanda è legata a doppio nodo all’andamento delle aste sui titoli pubblici. Si fa un gran parlare, infatti, dell’influenza nefasta che la speculazione riesce a mantenere sul rendimento dei Btp e sulle politiche fiscali del Governo, ed è quindi lecito domandarsi se e quanto tale emergenza abbia impattato anche il credito alle industrie.



Focalizziamo l’attenzione su quanto sta accadendo sui mercati italiani e tedeschi, un po’ come si fa per le finanze pubbliche. In particolare, prendiamo le obbligazioni industriali, ossia il debito emesso dalle grandi aziende e sottoscritto dai grandi investitori. Se limitiamo il perimetro delle nostre osservazioni alle sole industrie con un rating superiore a BBB- (le cosiddette industrie investment grade, o “IG”), troviamo che il volume attualmente sul mercato corrisponde a 264 miliardi di euro, così ripartiti: 68 miliardi di euro investiti nel debito delle industrie italiane, 196 in quello delle industrie tedesche.



Anche in termini di presenza, il parterre tedesco conta 37 nomi per 257 obbligazioni, mentre la rappresentanza italiana si ferma a 22 nomi per 92 obbligazioni. Tra le industrie troviamo Basf, Bayer, Daimler, Lufthansa, E.on, Enkel, Bosch, Thyssenkroupp e Volkswagen sul lato tedesco, mentre per l’Italia sono annoverate Acea, Atlantia, A2A, Edison, Enel, Eni, Hera, Lottomatica, Luxottica, Snam, Telecom Italia, Terna, Seat e Piaggio.

Una prima considerazione: le industrie tedesche attive sul mercato sono di più ed emettono più debito. Le industrie italiane sono altrettanto indebitate ma fanno abbondante ricorso ai prestiti bilaterali, senza passare per il mercato. Ad esempio, il gruppo Enel consolida 42 miliardi e mezzo di euro in obbligazioni e ha prestiti in essere per 27 miliardi e mezzo. Il gruppo E.on, invece, ha un solo prestito a bilancio (6 miliardi di euro), mentre le obbligazioni emesse superano i 20 miliardi. Prestiti e obbligazioni non sono complementari: chi emette obbligazioni attira verso il proprio passivo i grandi investitori esteri e con loro accetta di confrontarsi. Chi predilige il prestito bilaterale a volte ha una preferenza per gli interlocutori nazionali, altre volte è costretto a preferirli: le emissioni impongono obblighi spesso onerosi in termini di comunicazione sui dati di bilancio e dei risultati. Bisogna poi valutare a che tassi si raccoglie cassa sui mercati obbligazionari e a quali livelli si accede ai prestiti bilaterali.



Prima di passare ai numeri, occorre una precisazione. Che le industrie italiane prediligano i prestiti non deve sorprendere: per quanto siano sovente al centro di roventi polemiche, le banche nostrane sanno “fare” credito industriale, mentre in Germania il settore bancario non è in buona salute. Ma il sistema tedesco gode di grande credibilità presso gli investitori internazionali e questo, come vedremo dal primo grafico, compensa largamente alle defaillance dei Landesbank.

I numeri, per l’appunto. Con rendimenti che oscillano tra lo 0,53% scadenza un mese e il 2,49% sui dieci anni, le obbligazioni industriali tedesche riescono a raccogliere finanziamenti lungo tutta la curva dei tassi. I minimi si raggiungono tra i sei e i nove mesi, dove i titoli sono negoziati su rendimenti intorno al mezzo punto percentuale. Nello scadenzario a un mese del comparto italiano troviamo “solo” un bond Telecom Italia da un miliardo, negoziato intorno all’1,3%. Un solo titolo non fa una media, ma i rendimenti dei titoli italiani sono sistematicamente più alti di almeno mezzo punto percentuale, in special modo sul breve termine, dove lo spread dei titoli pubblici è relativamente più contenuto. Scorrendo lungo la curva, i rendimenti delle industrie italiane restano alti con significative eccezioni all’approssimarsi della scadenza di grosse obbligazioni del gruppo Eni, l’industria italiana con il miglior merito creditizio (si vedano i rendimenti a 6 mesi, per esempio).

Passando ai raffronti, l’aspetto forse più indicativo è la differenza sul lungo termine tra spread del debito pubblico e spread del debito privato. Si sa che per quanto riguarda i rendimenti decennali, la tensione sui titoli sovrani è forte e il differenziale resta da mesi al di sopra del 3%. Sul versante industriale, le percezioni degli investitori sono più allineate e lo spread tra Italia e Germania si aggira mediamente intorno al 2%. Sulla scadenza a cinque anni, il differenziale di medio-lungo termine tocca i minimi, assestandosi su 128 punti base. È un dato molto significativo, perché il paniere di titoli è piuttosto sostanzioso: Terna, Telecom Italia, Snam, Lottomatica, Eni, Atlantia, ed Enel sul lato italiano e dall’altra parte una decina di industrie tra le quali Metro, Basf, Daimler, Rheinmetall e Bosch.

L’accesso al credito, dunque, non avviene in condizioni ottimali, ma il mercato dei bond industriali resiste ai colpi della crisi e ci riesce relativamente meglio di quanto avvenga sui debiti sovrani (come si può notare nel secondo grafico). Le tensioni sui titoli di Stato, però, pesano sul credito alle imprese e molto: secondo Bankitalia, un punto percentuale di incremento dello spread con il Bund corrisponde a un rincaro sui tassi alle imprese pari a 50 punti base. L’impatto è forte, sia a causa degli importi in gioco sia per l’effetto a catena sui mutui alle famiglie e sulla crescita economica.

Resta l’elemento incoraggiante sul medio-termine: per quanto la vera differenza resti nella solidità del “sistema Paese”, le aspettative degli investitori indicano un miglioramento del quadro economico da qui a due anni. La partita per la crescita si gioca nei prossimi diciotto mesi.

 

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