Ieri è uscito il Rapporto Doing Business 2013 a cura della Banca Mondiale. All’apparenza, si dovrebbe essere contenti: siamo risaliti, nella classifica generale dall’87° al 73° posto. Ma il condizionale è d’obbligo. Occorre infatti guardare all’interno dei dati per comprendere da cosa deriva questo avanzamento. Proviamo a guardare dove l’Italia sale e dove scende, in relazione all’anno precedente.
Sull’avvio delle attività siamo scesi dal 77° all’84° posto, sui permessi di costruzione dal 96° al 103°, sulla concessione del credito dal 98° al 104°, sul perfezionamento dei contratti dal 158° al 160° e sulla risoluzione dell’insolvenza dal 30° al 32°. Miglioriamo invece sull’acceso all’energia elettrica (dal 109° al 107° posto), sulla protezione per gli investitori (dal 65° al 49° posto), ma soprattutto per i trasferimenti di proprietà (dall’84° al 39° posto).
Proviamo a vedere nel dettaglio questi indicatori aggregati. Sull’elettricità pesa, nel ranking, unicamente il miglioramento dell’accesso alla rete elettrica da parte di Acea: basta a dire che abbiamo migliorato? In realtà, sulla rete elettrica il contributo maggiore l’ha dato il collegamento tra la Sardegna e il Continente, che contribuisce a un calo del costo all’ingrosso dell’energia elettrica, in cui si applica un prezzo unico nazionale.
Per quanto riguarda i trasferimenti di proprietà, sicuramente l’informatizzazione del catasto ha prodotto una velocizzazione dei tempi, ma sembra esagerato attribuire un miglioramento così pronunciato nel ranking solo a questo: se si analizzano gli indicatori di dettaglio, risulta che i costi sono gli stessi, le procedure sono scese da 7 a 3, ma i giorni necessari sono scesi solo da 27 a 24.
Alcuni dubbi sull’affidabilità del ranking vengono sull’indice del pagamento delle tasse: il rapporto non registra nessuna nuova procedura fiscale, ma afferma che le ore all’anno per il pagamento delle tasse sarebbero passate da 285 a 269 e che – questo appare sinceramente poco credibile – il total tax rate (imposte totali pagate sugli utili) sarebbe sceso dal 68,5% al 68,3%.
In sintesi, il Doing Business mantiene una certa validità, soprattutto – al di là dei punteggi assegnati – è auspicabile che Governo e Parlamento lavorino sui singoli indicatori di base (36) che formano gli indicatori aggregati (10). Ma è legittimo chiedersi se non valga la pena che gli autori rivedano la platea delle loro fonti di informazione, ad esempio inserendo, oltre alla miriade di grandi studi legali e società di consulenza, anche l’Istat, i soggetti del Sistema statistico nazionale e le associazioni delle imprese e dei professionisti, che producono dati sicuramente attendibili e reali che possono mettere in grado di valutare al meglio le performance.
La prima condizione per la crescita è creare un contesto favorevole all’impresa e, in particolare alle micro, piccole e medie imprese: rallegriamoci pure di essere risaliti al 73° posto, ma ricordiamoci che siamo solo all’inizio.