Pare che anche il governo si sia reso conto del fatto che la sempre maggiore difficoltà di imprese e famiglie nell’ottenere liquidità dalle banche rappresenti uno dei problemi in assoluto più rilevanti del nostro sistema economico. «L’accesso al credito, il rapporto tra banche e imprese e la vigilanza sono temi centrali non solo in Italia ma anche in Europa. E’ uno snodo cruciale nel definire il percorso per la ripresa dell’economia», ha affermato Monti in un messaggio inviato alla 44/Ma Giornata del credito. La situazione è preoccupante. Non tanto da allarmare il ministro dell’Economia Vittorio Grilli, secondo il quale, già nel 2013, vedremo la ripresa. Partirà in sordina nella prima parte dell’anno per poi accelerare nella seconda. Abbiamo chiesto a Luigino Bruni, Docente di Economia politica all’Università Bicocca di Milano, come stiano realmente le cose.



Anzitutto, condivide le preoccupazioni di Monti sul sistema bancario?

Il sistema finanziario italiano è malato da anni. Già da prima della crisi, non è un caso che il sistema bancario è stato quello che ha ottenuto i profitti più alti dell’intera economia italiana. Profitti prodotti da attività speculative che hanno fatto sì che l’intera economia ne risentisse. Tali attività, infatti, espongono le banche a rischi eccessivi, impedendo loro di prestare denaro a imprese e famiglie ed estendendo così il morbo che le ha contagiate al sistema sociale. Si tratta di una malattia seria e profonda, che tradisce, oltretutto, la vocazione degli istituti di credito italiani, tipicamente locali, comunitari e legati al territorio. Non mi riferisco soltanto alle banche del credito cooperativo; la stessa Mediobanca, per intenderci, rappresentava un elemento di raccordo con il mondo industriale e produttivo, e con il territorio.



Se lo spread è alto, le banche, per competere con i tassi dei titoli di Stato, devono emettere obbligazioni altrettanto appetibili: oltre al differenziale tra i rendimenti, quindi, quanto hanno inciso gli elementi tipici della crisi sul credit crunch?  

Hanno inciso in parte. Il credit crunch, infatti, c’era anche prima della crisi. Tra le cause, vi è il fatto che, nel tempo, anche a causa delle continue fusioni, il centro decisionale delle banche, si è sempre più allontanato dal territorio. Algoritmi stabiliti da Basilea e direttive imposte dalle sede centrali degli istituti hanno obbligato i direttori delle filiali a basarsi su una lettura sempre più asettica del bilancio delle imprese che chiedevano prestiti. Nel tempo, si sono trovati a erogare credito o a negarlo ad aziende di cui non conoscevano l’effettivo stato di salute. Il che, ha danneggiato non solo le imprese, ma anche le banche. Non è sufficiente, infatti, applicare freddi parametri a un freddo bilancio per comprendere in che condizioni versi effettivamente un’attività imprenditoriale. Spesso, quindi, sono state penalizzate le virtuose e premiate le peggiori. Oltre a questo, hanno inciso anche altri fattori.



Quali?

Anche le banche italiane, ormai, persino quelle cooperative, hanno pessimi bilanci e nel portafogli ingenti quantitativi di titoli tossici. Prestando denaro temono, quindi, di aumentare la sofferenza e la fragilità dei bilanci.

Cosa dovrebbero fare le banche per rimettersi in carreggiata?

Credo che la soluzione dei problemi non sia nelle loro disponibilità, quanto, piuttosto, competa alle istituzioni internazionali, europee e italiane. Occorre, anzitutto, una riforma seria del diritto bancario che ripristini quella distinzione tra istituti finanziari e commerciali un tempo alla base del sistema occidentale tale per cui si decida di salvare, eventualmente, esclusivamente quelli il cui fallimento danneggerebbe famiglie e imprese. Oggi, invece, la commistione tra i due generi è tale per cui consentire il fallimento delle attività speculative danneggerebbe tutti gli altri cittadini. Inoltre, così come esistono le giurie popolari, istituirei degli organismi analoghi che affianchino i banchieri nelle loro decisioni rispetto a chi è meritevole di credito.

Il governo, dal canto suo, cosa può fare?

Promuovere la riforma del sistema bancario e ripristinare la territorialità  delle banche. Un’operazione complicata, ma che va messa  punto fin da subito. Laddove andasse a buon fine, l’esecutivo, che ha concesso copertura totale all’emissione di obbligazioni bancarie in caso di insolvenza dei contraenti, potrebbe vincolare tale copertura all’erogazione di credito a imprese e famiglie.

Le sembra che Monti abbia idee sul da farsi?

Direi di no. Tanto più che non mi pare che l’esecutivo abbia in mente manovre per rilanciare il Paese; all’orizzonte, non si vede altro che il persistere della convinzione che lo Stato rappresenti l’unico aspetto del Paese. Di conseguenza, si sta sanando il deficit pubblico a costo di affossare le imprese. Se la priorità assoluta viene identificata nel pareggio di bilancio e discapito di tutto il resto, ci ritroveremo con i conti in ordine, ma con un tessuto produttivo allo sfascio totale.

A fronte di questo, trova verosimile l’ipotesi del ministro dell’Economia secondo cui nel 2013 ripartiremo?

Da dove dovrebbe nascere la ripresa? Dato che le imprese e le banche sono in sofferenza, mentre nel pubblico, che contribuisce a metà del Pil, e a sempre prodotto crescita e occupazione, si persiste in una logica di semplici tagli. Non capisco, quindi, su quali dati si basi la supposizione.

 

(Paolo Nessi)