L’orizzonte del legno è il mondo. La segheria italiana come l’abbiamo sempre conosciuta infatti non esiste più, perché la produzione si è spostata altrove. E sempre maggiore importanza assume la dinamica internazionale dei mercati, che offrono enormi possibilità di sviluppo anche a quegli imprenditori che oggi sono in difficoltà. Ne abbiamo parlato con Nicoletta Andrighetti, imprenditrice padovana che da trent’anni lavora nel settore legno per l’impresa di famiglia. La sua azienda è il simbolo del cambiamento, perché è passata prima da piccola bottega a vera e propria grande segheria, per poi gradualmente abbandonare le terre di origine e concentrare la sua produzione in Africa, nella fattispecie in Costa D’Avorio, e, da ultimo, sviluppare competenze nei servizi alle imprese e nell’import-export; avventura, quest’ultima, che ora le sta aprendo un nuovo mondo.



Dove è cominciata la storia di Andrighetti Legnami?

In una bottega a Sant’Angelo di Piove di Sacco (Pd) dove due fratelli univano l’attività di ferramenta (mio zio) e falegname (mio padre). Poi i due si sono divisi: mio zio ha sviluppato l’attività di ferramenta, ora in mano a mio cugino, e mio papà ha mantenuto la parte legno.



E la storia continua in Africa…

Esatto, nei primi anni ‘60 mio papà è andato per la prima volta in Africa, in Costa D’Avorio, e poco dopo ha aperto la prima azienda. Per lungo tempo abbiamo mantenuto impianti di segagione e lavorazione del legno sia in Italia, sia in Africa, ma poi abbiamo smantellato tutti e cinque quelli italiani. L’ultimo non più di quattro anni fa. Oggi la produzione è tutta in Costa D’Avorio, dove abbiamo quattro società: tre sono segherie che si occupano della trasformazione del tronco in tavolame, una si occupa di sfogliato e compensato. Produciamo anche semilavorati e prodotti finiti come parquets e decking, quei listoni di legno rigati che si mettono nei moli, sulle barche o a bordo piscina e nelle saune.



Non fate solo produzione, giusto?

La nostra attività prevalente è ancora quella della segagione del legno. Ma siamo anche importatori in Italia, con la sede di Sant’Angelo: compriamo prevalentemente latifogli europei dai paesi della ex Jugoslavia come il rovere e il faggio e anche latifogli nordamericani e canadesi; qualcosa anche dal Sud America. Importiamo legno e lo immagazziniamo a Padova, per poi rivenderlo soprattutto in Italia e un po’ anche in Europa, via camion. Infine, facciamo anche un lavoro da agenti di commercio per le nostre società africane comprando e rivendendo un po’ in tutto il mondo. Quest’ultimo è l’aspetto su cui oggi stiamo investendo di più.

Come mai?

È l’unico modo per uscire dalla crisi! Anzitutto perché sull’estero i pagamenti sono contro documenti e dunque sono più sicuri di quelli italiani, che di sicurezza ne danno veramente poca. E poi perché abbiamo visto che le uniche aziende che sopravvivono sono quelle che diventano capaci di sfruttare i molti vantaggi offerti dai mercati internazionali, che offrono opportunità che in Italia non ci sono. Certo bisogna essere disposti a muoversi. Noi stiamo aiutando diversi imprenditori che rischiano di chiudere a cercare collaborazioni in Africa per portare il loro know how direttamente dove c’è il legno, la materia prima che da noi manca. Il nostro vantaggio è che siamo lì da più di 50 anni.

 

Che legno si lavora in Costa D’Avorio?

 

Noi lavoriamo, tanto per fare qualche esempio, mogani ed essenze locali come l’Iroko e l’Amazokoué. Sono legni tropicali nobili e resistenti. Trovano impiego soprattutto nell’edilizia. I resinosi come il pino e l’abete invece non li trattiamo.

 

Quali sono i vostri mercati di riferimento?

 

Ormai vendiamo nel mondo. La verità è che l’Europa è sempre meno un punto di riferimento. In questi anni, per esempio, sta diventando molto interessante il mercato interno africano, dove certi prodotti sono in espansione continua. Pensi che l’economia della Costa D’avorio è cresciuta dell’8%. Personalmente credo che bisogna vendere i prodotti dove li usano. E città come Abidjan, che non è la capitale ma è la città principale della Costa D’Avorio, è tutta un cantiere, è piena di gru. Stanno costruendo tantissimo e gli affitti e le case costano molto più che da noi. Perché allora uno deve faticare a portare la merce in Italia, dove nemmeno ti pagano, se lì c’è tutto questo bisogno?

 

Oltre al mercato interno africano di quali mete vi state interessando?

 

Siamo appena stati a una fiera in India e dal 18 al 21 ottobre saremo presenti al Cairo International Wood Show – è un tentativo: è la prima volta ma abbiamo qualche contatto da sviluppare – per poi recarci a Dubai, dove invece andiamo già da tre anni. Dopo sarà la volta di Ho Chi Minh City, in Vietnam, con Atibt, l’associazione di tutti i produttori di legni tropicali. A queste fiere prima andavamo solo in visita, ma adesso abbiamo cominciato ad aprire i nostri stand.

 

Che situazione vede in Italia?

 

C’è poca correttezza nei confronti della concorrenza. C’è sempre qualcuno che fa il prezzo minore e allunga i pagamenti. Ma così è una guerra. E nelle guerre muoiono sempre in tanti. Noi preferiamo dire di no e guardare altrove.

 

Quale è il segreto del vostro successo?

Abbiamo acquisito nuove competenze. Nell’ultimo piano di assunzioni, per esempio, per quanto riguarda il comparto vendite, abbiamo preferito attingere a professionalità che non venivano dal mondo del legno. Un fatto che ha disorientato la concorrenza. Così almeno non circolano sempre le stesse persone.

 

Cosa cambia quando si gioca su un terreno che è internazionale?

 

Diventa importantissimo il discorso delle certificazioni. Una volta nessuno le richiedeva, ma adesso sono diventate indispensabili. E anche l’Africa si sta adeguando. È una scelta obbligata che riguarda l’origine e la tracciabilità del prodotto. Noi ci stiamo impegnando in prima persona perché ci interessa molto. Ma i tempi sono strettissimi e non possiamo adeguarci ai ritmi della burocrazia. Noi andiamo avanti per la nostra strada e facciamo da apripista, colloquiando quotidianamente con i ministeri che in Africa hanno in gestione le foreste.

 

E un imprenditore cosa deve fare per giocare sul vostro terreno?

 

Gli imprenditori devono stare meno chiusi in casa e utilizzare l’appoggio di chi gli è utile per scambiare informazioni e notizie. Se io sono in Costa D’Avorio e tu in Gabon possiamo essere di aiuto l’uno all’altro, perché entrambi abbiamo qualcosa da insegnare. Ma finora noi abbiamo conosciuto più partner collaborativi in questo senso all’estero che non in Italia.

 

(Matteo Rigamonti)