“Riteniamo che dall’anno prossimo, dal secondo trimestre del 2013 in avanti, torneremo a crescere”. Ancora una volta il ministro dell’Economia Vittorio Grilli torna a ostentare un ottimismo che senza dubbio, in un periodo quanto mai difficile come quello attuale, può certamente aiutare. Esiste però un evidente rischio che può portare con sé conseguenze rilevanti: come spiegherà anche il professor Gustavo Piga a IlSussidiario.net, se il governo insiste a definire rosea una situazione economica che rosea non è affatto, tra disoccupazione senza precedenti, crollo della piccola e media impresa e pressione fiscale da record, «rischia solamente di gridare troppo “al lupo al lupo”. Insomma, quando finalmente annuncerà una stima vera e realmente ottimistica, nessuno gli crederà più. Con tutte le conseguenze che questo inevitabilmente comporterà».
Professore, cominciamo dalla previsione annunciata da Grilli.
E’ necessario che si faccia chiarezza una volta per tutte. Riguardo il 2013, le stime più ottimistiche di cui disponiamo, provenienti da organismi indipendenti, tipicamente grandi banche d’affari internazionali che devono tutelare i risparmi dei loro investitori, mostrano per l’Italia un -1,2%, mentre quelle più pessimistiche addirittura un -2,5%. Nel 2011 il governo ci diceva che quest’anno saremmo cresciuti dell’1,2%, mentre oggi Grilli conferma che chiuderemo il 2012 a -2,4%: quindi, a fronte di un errore di previsione del 3,6%, non vorrei che nelle parole del ministro vi fosse un reale eccesso di ottimismo.
Con le conseguenze di cui parlava…
Certo, per questo è importante che le stime siano fatte correttamente. Si possono sbagliare, certo, ma errori del 3,6% non possono essere ascrivibili soltanto a nostre cattive comprensioni. Bisogna fare molta attenzione a non regalare illusioni, anche perché è proprio questo il miglior modo per perdere fiducia nelle istituzioni.
Alla luce di queste considerazioni, su cosa dovrebbe puntare l’Italia per cominciare a vedere una reale ripresa?
In questo momento l’export italiano sta tenendo, ma soprattutto grazie all’andamento dell’economia fuori dall’Unione europea, mentre al suo interno sta decisamente calando a causa della politica economica di austerità in cui si è inviluppata l’Europa. La prima ricetta ovvia per far ripartire un circolo virtuoso, quindi, è quella di far cessare immediatamente l’austerità.
In caso contrario a cosa andremo incontro?
Con ogni probabilità salterà l’euro, perché non è pensabile lasciare la Grecia in queste condizioni fino al 2015, cioè l’anno in cui probabilmente si potrà finalmente uscire da questa recessione, come ha ipotizzato anche Squinzi. Con la Grecia esce anche il Portogallo, di conseguenza anche la Spagna, quindi è ovvio che una prima reazione deve arrivare da una politica economica che l’Italia dovrà attuare insieme a tutti i governi europei.
Come si sta muovendo l’Europa in tal senso?
L’Europa ne sta prendendo atto, attraverso un notevole balletto di ipocrisie con cui da una parte si fa finta di essere cattivi con la Grecia, mentre dall’altra si rinvia in silenzio ogni piano di aggiustamento. Insomma, pur di non dire che l’austerità fa male si sceglie di nascondere la verità. E’ invece arrivato il momento di dire chiaramente che stiamo aiutando la Grecia e, in questo senso, è fondamentale che l’Europa prenda atto che non c’è via d’uscita senza solidarietà. Per questo la politica d’austerità deve cessare.
Cosa può fare intanto il governo Monti?
Può certamente mettere mano alle cosiddette riforme, ma solo a quelle che fanno realmente bene all’economia e che possono essere intraprese durante una recessione. Esistono infatti riforme importanti che probabilmente durante una recessione non si possono attuare, una tra tutte quella del mercato del lavoro. Penso invece a una spending review attuata nel modo più adeguato, fondamentale non solo perché capace di migliorare la qualità della spesa e l’utilizzo delle risorse ma anche per liberare quelle risorse per aiutare l’economia.
Come è stata fatta invece finora?
Quella attuata finora è una spending review che taglia a caso, in cui non ci si è chiesti se quanto eliminato fosse utile o meno. Facendo questo si lancia ovviamente il peggiore dei possibili messaggi, cioè quello di un governo che taglia indipendentemente dall’utilizzo che si fanno delle risorse. In una situazione come questa scompare ogni incentivo per fare bene e non solo, perché tagliare in questo modo significa tagliare anche Pil e occupazione. Per questo motivo dico che non è stato intelligente fare una riforma del mercato del lavoro che rende ancora più costoso assumere in un periodo di recessione.
Recenti dati Istat evidenziano per il mese di settembre un tasso di disoccupazione in Italia ancora più alto, in particolare tra i giovani. Cosa ne pensa?
Quanto emerso lancia un messaggio chiaro ed estremamente preoccupante. Non solo perché i numeri peggiorano, ma perché continuano a confermare un trend in cui la situazione peggiora molto per gli uomini e meno per le donne. Mi spiego: i dati evidenziano che gli uomini stanno perdendo lavori a tempo indeterminato, in particolare nelle grandi aziende, mentre le donne che prima non lavoravano adesso si affacciano sul mercato del lavoro con contratti a tempo determinato per cercare di supplire alle difficoltà familiari.
Questo cosa sta a significare?
Che non ci troviamo di fronte solo a una crisi del lavoro ma anche a una crisi del lavoro sicuro. Di conseguenza, non solo cresce la disoccupazione ma cresce anche il sentimento di insicurezza che a sua volta rappresenta un danno per l’economia. Sono quindi tutti segnali che ci dicono che bisogna immediatamente fare qualcosa e, da questo punto vista, è necessario rivolgere l’attenzione sia alle grandi imprese ma anche e soprattutto a quelle piccole e medie che più di tutti soffrono la recessione. Riguardo a ciò vorrei citare quanto emerso dal recente Doing Business Report della Banca Mondiale.
Ci dica.
Il rapporto ci vede nuovamente al 75esimo posto nella classifica per capacità del sistema di aiutare le imprese a entrare nei settori regolari dell’economia, soprattutto a causa della troppa burocrazia. E’ però fondamentale sottolineare un particolare aspetto.
Quale?
Come evidenziato all’interno delle 250 pagine del rapporto, l’Italia è riuscita a mantenere il 75esimo posto solamente grazie a due particolari riforme che la Banca Mondiale ha valutato importanti per imprese.
Quali?
La prima riguarda l’Acea di Roma (operatore attivo nella gestione e nello sviluppo di reti e servizi nei business dell’acqua e dell’energia ndr) che ha reso più veloce la possibilità di stipulare contratti di fornitura elettrica, mentre con la seconda l’Associazione Notai Italiani ha finalmente messo online le mappe catastali. Ci si rende quindi facilmente conto che, se da un dibattito enorme sulle riforme, in un anno il Paese riesce a tirare fuori solamente azioni di questo tipo, evidentemente non c’è coscienza di quanto sia difficile fare impresa in Italia. Siamo in gravissimo ritardo e quanto fatto dal governo finora non è sufficiente. La strada per avanzare esiste, bisogna solo trovare persone non solo competenti ma con la giusta energia per riuscire a portare avanti un programma che, pur essendo assolutamente fattibile, per qualche motivo non riusciamo ancora ad affrontare.
(Claudio Perlini)