La fuga dei cervelli è un fenomeno drammatico e tipicamente italiano. Che, tuttavia, riflette un dato positivo: sarà una magra consolazione, ma se i nostri cervelli fuggono, vuol dire che c’è qualcuno destinato ad accogliergli. Come la Volkswagen. Il presidente del Consiglio di sorveglianza, Ferdinand Piech, ha annunciato in un’intervista al domenicale Bild am Sonntag, un programma di assunzione di giovani ingegneri italiani analogo a quello varato nei confronti di spagnoli e portoghesi. «Sono molto preoccupato per l’elevata disoccupazione giovanile in alcuni Paesi dell’Ue, è qui che dobbiamo agire uniti», ha dichiarato Piech. Ne abbiamo parlato con Bernardo Bertoldi, professore di Creazione d’impresa presso la facoltà di Economia dell’Università di Torino.
Come valuta il programma annunciato da Ferdinand Piech?
Di per sé, l’episodio non è assolutamente inedito. Non è la prima volta che Volkswagen dà vita a progetti del genere. E’ da rilevare, invece, il fatto che l’azienda, così come molte altre realtà tedesche, assumano i nostri ingegneri perché, evidentemente, li ritengono capaci.
Eppure, non dovrebbe disporne a sufficienza?
Certo, gli ingegneri tedeschi sono bravissimi. Il fatto è che, in una logica europea, un’azienda seria sa bene che tenere nello stesso team personale proveniente da diverse zone del mondo è estremamente conveniente e innesca dinamiche virtuose. A onor del vero, tuttavia, gli italiani dispongono, effettivamente, di una marcia in più.
Quale?
A parità di bravura con i tedeschi, l’ingegnere italiano ha vissuto con il sole, immerso nelle opere d’arte e, magari, a 7 anni, ha già visto le Alpi e Firenze, il mare e Venezia. Un vantaggio che si traduce in termini di creatività. D’altro canto, la crisi che sta attraversando l’Italia e il fatto che il Paese, in questo fase, non se la stia passando benissimo non deve di certo far pensare che le professionalità che formiamo nelle nostre università non rappresentino eccellenze. Spesso, gli stranieri ne sono più consapevoli degli stessi italiani. E ci riconoscono qualità che, normalmente, non saremmo portati ad attribuirci.
Oltre alla creatività?
Certo: che gli italiani siano creativi è risaputo. Gli stranieri, tuttavia, sono anche consapevoli della nostra eccezionale capacità di lavorare sotto pressione, di adattarsi alle circostanze, individuando soluzioni per problemi che non erano pianificate. Oltretutto, la nostra forma mentis ci porta a non stare all’interno di processi rigidamente strutturati. Laddove sorge una criticità estranea a tali processi, quindi, una mente più schematica sarebbe, semplicemente, portata a eliminare il problema; noi, preferiamo analizzarli, soddisfare la nostra curiosità, comprendere le cause dell’elemento fuoriuscito dalle normale successione degli eventi.
Piech, nell’intervista, ha anche fatto presente come uno dei mali peggiori d’Europa sia la disoccupazione giovanile
Esatto: si tratta, probabilmente, del tema a lui più caro. E non è un caso che, ultimamente, l’azienda abbia cercato di avvicinare, professionalmente, i giovani all’auto. Il che ci porta a riflettere su un modo di affrontare il mercato occupazionale in cui, tipicamente, noi italiani siamo carenti mentre i tedeschi forti.
A cosa si riferisce?
Indubbiamente, da noi, la discrepanza tra la domanda e l’offerta è estremamente elevata. Si può dire che il problema non sia tanto la carenza, in sé, di posti di lavoro, quanto il fatto che il numero di laureati in alcune materie sia decisamente eccedente rispetto alle richiesta; mentre, d’altro canto, ancora non si è introdotta quella cultura della dignità delle scuole professionali che, invece, fa parte del patrimonio culturale tedesco.
(Paolo Nessi)