Recessione. Il vento della crisi che soffia da Sud ha ormai investito il cuore dell’Unione europea. La locomotiva tedesca è in rapida decelerazione (+0,3%), la Francia pure (+0,2%), nonostante non si vedano ancora gli effetti della correzione del budget che Parigi dovrà adottare per evitare di cadere nel baratro della depressione mediterranea. L’Italia, di suo, è nel bel mezzo del tunnel. Lo spread che non scende sotto la barriera dei 350 punti, anzi non di rado si riaffaccia a quota 400, è una misura eloquente dei limiti dell’austerità alla tedesca.
Intanto, la spinta propulsiva del Governo Monti si è definitivamente esaurita. A che serve un Governo che non riesce a fissare la data delle elezioni? O un Premier che, infrangendo la tradizionale e mai troppo lodata prudenza, si mette a discettare di patrimoniale? A questo punto, forse vale la pena di seguire l’esempio del Giappone, Paese che, dal punto di vista politico, ha più di un’affinità con l’Italia. Di fronte alla prospettiva di una stagione parlamentare di ricatti e di compromessi per approvare il bilancio e definire nuovi target del debito pubblico (classifica in cui Tokyo sta peggio di noi), il Governo ha deciso di accelerare il ricorso alle urne: si voterà a dicembre, invece che in estate. La Borsa caldamente applaude con un rialzo che sfiora il 2%. In certo casi l’arte dell’attesa e della mediazione non porta a nulla. E la prospettiva di andare avanti fino ad aprile con un esecutivo demotivato e fiacco, che non lesina annunci ma non conclude (quasi) nulla, è la condizione peggiore.
L’economia, in una situazione così drammatica, non può attendere. E non lo fa. Nelle ultime settimane c’è stata un’accelerazione improvvisa del processo di ristrutturazione del sistema delle grandi imprese. Per limitarci ai casi di cronaca:
A) Marco Tronchetti Provera, via Gerardo Braggiotti, è alla ricerca di un nuovo alleato per la galassia che da Gpi arriva a Pirelli. Dopo lo strappo con Malacalza, però, sarà difficile trovare un partner che si accontenti di quote in società non quotate o che non chieda la garanzia di affiancare e/o sostituire prima o poi lo stesso Provera. I nomi più chiacchierati? Due privati italiani, Investindustrial di Carlo Bonomi, e Clessidra di Claudio Sposito; oppure i fondi sovrani del Qatar e di Singapore, ovvero il tycoon belga Albert Frères.
B) La stagione di Mario Greco alle Generali ha preso il via con la vendita della consociata israeliana cui seguirà la cessione della Banca della svizzera italiana e delle attività di riassicurazione in Usa. In questo modo Greco potrà far fronte all’acquisto dell’intera partecipazione in Ppf, la società di Praga che guida il business assicurativo del Leone verso Est, senza dover procedere a un aumento di capitale. Greco è consapevole che Mediobanca, un po’ per obbligo (i parametri di Basilea), un po’ per scelta deve ridimensionare la quota nel Leone. Non è difficile prevedere nel futuro l’arrivo di partner internazionali con cui, magari, sviluppare business assicurativi che le Generali, da sole, non potrebbero permettersi.
C) Gli sviluppi più clamorosi, però, riguardano Telecom Italia. Il tycoon egiziano Naguib Sawiris si è detto disponibile a entrare nel capitale di TI attraverso un aumento di capitale. I nuovi mezzi serviranno all’acquisto della brasiliana Gtv. Oppure, ipotesi ancor più clamorosa, Sawiris potrebbe acquistare l’intera Sfr francese (valore 13 miliardi) e girare la controllata Gtv a Telecom Italia in cambio di azioni. L’operazione piace a Franco Bernabè che, dopo aver difeso per anni il fortino dell’ex incumbent dai debiti accumulati in passato, anche a scapito degli investimenti, vede nell’operazione l’occasione per sviluppare le attività in Sud America del gruppo, l’unica frontiera ragionevole di sviluppo. Conto questa strategia si è già mossa Telefonica, socio forte di Telecom, che non ha alcun interesse a veder crescere un concorrente in Sud America. E l’ad Marco Patuano, che ritiene inutile un aumento di capitale. I soci finanziari di Telco (Generali, Intesa e Mediobanca) in epoca non sospetta hanno già fatto capire di non veder l’ora di poter monetizzare un investimento che ha regalato ben poche soddisfazioni.
Gli esempi potrebbero proseguire. È difficile che la Fiat, ad esempio, possa completare l’acquisizione di Chrysler senza rafforzare prima il patrimonio. Ma anche in questo caso non è facile individuare un partner italiano, salvo l’onnipresente Cassa depositi e prestiti che, cosa che non va mai dimenticata, amministra i quattrini dei depositanti alle Poste. Ovvero un capitale “a vista” che non può essere del tutto dirottato su investimenti di lungo termine.
Per il resto, dalle trimestrali bancarie emerge la crescita, a tassi inquietanti, di incagli e sofferenze in arrivo dal sistema delle Piccole e medie imprese italiane, già motore dello sviluppo. Le stesse banche, per ora puntellate dall’ossigeno dell’attività di trading sui Btp (grazie ai quattrini prestati da Mario Draghi), devono perciò badare a dotarsi nel futuro di patrimonio sufficiente per fronteggiare le inevitabili pulizie di bilancio, premessa per una ripresa sana.
Ne consegue:
1) Le grandi imprese di casa nostra, almeno nell’ambito privato, dovranno cavarsela da sole individuando partner e alleanze adeguate. Inutile perder tempo con domande oziose sulla nazionalità delle imprese. L’importante è trovar l’alleato giusto (vedi modello General Electric-Nuovo Pignone piuttosto che Volkswagen-Ducati) per crescere, piuttosto che cercare di “massimizzare il valore” cedendo marchi senza alcuna garanzia. In questo senso, il governo può avere un compito importante.
2) La ristrutturazione delle banche non può attendere. Inutile illudersi che gli attuali assetti, imperniati sulla centralità delle Fondazioni, possano durare all’infinito: il sistema ha bisogno di nuove risorse sia dal mercato interno che internazionale. L’importante è muoversi per tempo, invece che farsi dettare i tempi dall’emergenza. Peccato che “l’esecutivo dei banchieri”, come ingiustamente è stato definito il Governo Monti, non sembri in grado di tracciare le linee di un piano così impegnativo.