Il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legislativo che pone una nuova direttiva sul ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali tra imprese e tra Pubblica amministrazione e imprese. Si è addirittura anticipato questa direttiva, che era stata fissata per il 16 marzo 2013, portandola al primo gennaio prossimo. E’ una questione di principio di grande importanza, pensando che il tempo di pagamento, anche da parte della Pubblica amministrazione nei confronti dei privati, deve essere ridotto a trenta giorni. Rispetto all’andazzo corrente, si tratta quasi di una rivoluzione copernicana.
Qui però il problema diventa inevitabilmente complesso e pone degli interrogativi. E’ cosa nota, ormai a tutti gli italiani, soprattutto alle imprese private che lavorano per la Pubblica amministrazione, che lo Stato italiano è non solo un debitore “a lungo termine”, ma è anche un debitore accanito nei confronti dei privati, perché deve pagare una cifra complessiva che viene quantificata, a spanne, sui novanta miliardi di euro. Occorre ricordare che tutti i Paesi europei messi insieme, Grecia compresa, hanno un debito verso i privati inferiore a quello dell’Italia, 80 miliardi. Che cosa avverrà di questo “pregresso” non si sa ancora esattamente, dato che bisogna formalizzare presso le banche i crediti (direttiva di aprile) in un procedimento piuttosto lungo e anche abbastanza complesso.
Paolo Preti è un bravo economista che guarda attentamente alla realtà delle imprese italiane. E’ un professore dell’Università Bocconi e ricopre un incarico importante, quello di direttore del Master Piccole imprese della Sda Bocconi.
Come commenta il provvedimento del governo?
Ma come è possibile non condividere e non applaudire un simile principio? I debiti della Pubblica amministrazione sono noti a tutti. Il problema che si pone è che questo non sia un ennesimo atto di politica fatta per annunci. E un legittimo sospetto bisogna pure averlo.
Per quale ragione professore?
Mi scusi, ma devo fare alcuni esempi. La Regione Lombardia è in Italia quella più virtuosa nel pagamento verso i privati. E paga a 60 giorni. Ora è possibile, realizzabile, ipotizzabile che improvvisamente tutte le Regioni e tutto il resto della Pubblica amministrazione si allinei, a partire dal prossimo primo gennaio, alla parte più virtuosa? Io non ho solo qualche dubbio e qualche perplessità, ma ritengo che concretamente sia quasi impossibile. Quindi noto che si ritorna fare una politica per annunci, per principi, giustissimi per carità, ma che hanno poco a che fare con la realtà italiana.
Il principio giusto può in tutti i casi garantire gli interessi di mora sui ritardi nei pagamenti.
Certo, nessuno dice che non sia giusto stabilire il principio e le conseguenze che comporta. Ma lei la vede una piccola impresa che si imbarca, per un pagamento ritardato, in una causa contro la Pubblica amministrazione? Credo che sia un fatto difficile e molto complicato. Quindi ripeto: è stato affermato un principio giusto e importante, ma concretamente io non credo che sarà rispettato. Prendiamo al momento atto dell’affermazione di un principio giusto.
Naturalmente per Pubblica amministrazione si intende tutto l’apparato pubblico, statale, regionale, le Asl (per cui sembrano già previste deroghe) e tutto quello che è riconducibile al pubblico.
Per forza, questo è quello che riguarda la direttiva. Su questa interpretazione non ci possono essere deroghe o interpretazioni differenti.
Poi c’è il cosiddetto pregresso, quei novanta miliardi che lo Stato italiano deve onorare nei confronti dei privati dopo lavori e servizi realizzati e ancora non pagati, in alcuni casi da qualche anno.
Qui c’è la direttiva di aprile, con la formalizzazione dei crediti da parte delle banche. Mi sembra una procedura complessa e piuttosto lunga. Difficile prevedere quando verrà chiusa questa partita, quali saranno i tempi esatti per esaurire tutto questo debito dello Stato nei confronti dei privati.
Professor Preti, in tutti i casi un principio è stato stabilito e di questo occorre prenderne atto. C’è poi sempre da considerare, di fronte a questa crisi, quale è lo stato attuale delle aziende italiane. Alcune settimane fa lei ha detto che l’andamento della struttura produttiva delle imprese italiane è “a macchia di leopardo”. In altri termini alcuni settori e alcune aziende vanno bene, altre soffrono maggiormente la crisi. E’ sempre così?
Direi che l’immagine delle “macchie di leopardo” è sempre azzeccata. Ci sono settori e imprese, soprattutto quelle che esportano, che stanno cavandosela bene. L’ultimo rapporto di luglio è paragonabile per crescita di export a quello del 1998. E il risultato è stato realizzato da imprese che venivano accusate di essere piccole e di non poter resistere sul mercato globale. Invece se la cavano bene, esportano non solo in Europa e negli Stati, ma anche nei Paesi emergenti. Altre imprese, che si rivolgono soprattutto al mercato interno sono indubbiamente in sofferenza. Però devo dire che, in uno sguardo di insieme, la struttura produttiva italiana, quella della piccola e media impresa, tiene ancora. Le vere sofferenze, i possibili turbamenti, anche di carattere sociale, sono legati soprattutto alla grande impresa.
Tutto sommato lei sostiene che la crisi economica, ormai lunghissima, si riesce fino a questo momento a contenere.
La crisi è grave ed è lunga, ma indubbiamente l’Italia, apparentemente, sembra tenere botta. E’ difficile tuttavia comprendere quello che sta accadendo nel profondo della società italiana. Devo dire però che, tutto sommato, la crisi economica mi pare sempre più gestibile della profonda crisi politica italiana.
(Gianluigi Da Rold)