L’esasperazione di una concezione sbagliata del fare impresa – qualunque genere di impresa – sta, in buona parte, alla base della crisi in atto: fare soldi a palate, moltiplicare i profitti e i dividendi non possono essere i principali obiettivi. Non gli unici, per lo meno. Alla vigilia dell’Assemblea generale della Cdo, intitolata “Con l’audacia del realismo”, Giuliano Poletti, presidente di Legacoop, ci illustra un nuovo modo di intendere i rapporti economici.



Qual è il contribuito che l’esperienza che lei rappresenta sta dando nell’ambito della crisi?

La crisi sta colpendo le cooperative come tutte le altre imprese. La differenza consiste nel genere di risposta. Le nostre imprese, in questi ultimi tempi, hanno ridotto al minimo i margini, talvolta andando in passivo, per tutelare l’interesse dei soci, dei lavoratori. Se, tuttavia, la situazione non migliorerà sensibilmente, dovremmo affrontare molte casi di crisi aziendali. Specialmente laddove il blocco totale del credito sta già paralizzando l’attività.



Come vi muoverete?

Riteniamo che sia fondamentale, oltre a difendere l’esistente, promuovere nuove forme di cooperazione. Abbiamo molti esempi di aziende in crisi in cui i lavoratori decidono di rilevarle in parte o completamente per salvaguardare l’occupazione. Ci stiamo muovendo anche sul fronte dei nuovi contesti. Realizzando cooperative tra professionisti. Come nel caso dei medici di base, la cui aggregazione è prevista dal recente decreto Balduzzi. Alla base di tali operazioni, vi è la convinzione che la mutua assistenza e la solidarietà siano fattori in grado di contribuire allo sviluppo economico.



Ci spieghi meglio

Assieme alla forze classiche dell’economia, il mercato e lo Stato, deve entrare in gioco la società; ovvero, la responsabilità e il protagonismo di quei cittadini che si organizzano per autogestire in forma mutualistica i servizi. D’altronde, se i cittadini assumono compiti di ordine economico, anche lo Stato è obbligato a cambiare. Sarebbe costretto ad accettare l’idea secondo cui non tutto ciò che è pubblico deve essere necessariamente statale. Si tratta di una risposta alla crisi. Che, ad oggi, il mondo della politica e della cultura non è riuscita ad elaborare. Pare, infatti, che l’unica soluzione sin qui adottata consista nell’incremento dei tagli. L’alternativa a tale proposta innovativa, quindi, è la riduzione dei servizi e la crisi del welfare.

Quindi, lo Stato, in tutto ciò, che ruolo dovrebbe assumere?

Le esigenze sociali si sono evolute, e sarebbe il caso che si ridimensionasse. Normalmente, un cittadino paga le tasse allo Stato che, a sua volta, gli eroga dei servizi. Ci sono casi in cui tale giro non è più giustificato. Ci sono servizi che il cittadino potrebbe tranquillamente prodursi da solo. Servizi migliori, che costerebbero meno e che consentirebbero di abbassare il prelievo fiscale.

Crede che il sistema sin qui vigente abbia fallito?

Certamente, non è tutto bianco o nero. Ma, di sicuro, il modello economico occidentale ha mostrato molti limiti. Può essere in grado di stimolare la competizione; ma la competitività non è sufficiente per creare una società equa, per esempio. Occorre quindi iniziare a ipotizzare, accanto alla competizione, la cooperazione; e, oltre alla dimensione economica, anche quella sociale, quella culturale e quella spirituale. E’ necessario, cioè, comprendere le persone nella loro integralità,  non solo come individui che comprano o vendono.

In questo contesto, come si inseriscono le grandi associazioni d’impresa come la Cdo?

Ogni impresa può assumere un sistema di valori e intraprendere finalità sociali. Gli obiettivi non devono per forza esaurirsi nella creazione di utili, dividenti e profitti.  Anzi: qualunque impresa ha un’enorme responsabilità nei confronti delle società, che si esprime in coerenza con un disegno di fondo, mirato a costruire il benessere delle comunità in cui si agisce. Da questo punto di vista, non c’è differenza tra cooperative e imprese tradizionali. Quest’ultime trovano in associazioni come la Cdo, capaci di comunicare la propria idea della società, l’aiuto per procedere verso la costruzione del bene comune.

Ci faccia qualche esempio

Un azienda può decidere che se i dipendenti ne condividono lo scopo e comprendono le ragioni di quello che fanno, lo fanno meglio. E’ possibile, inoltre, non limitarsi all’applicazione del contratto, ma coinvolgere i lavoratori attraverso l’incentivazione all’azionariato volontario.

A proposito: cosa ne pensa delle polemiche che, negli ultimi tempi, stanno riguardando la Cdo?

Certo, le società devono vigilare affinché i propri associati e  chi le frequenta non assumano atteggiamenti scorretti o illegali. Detto questo, mi limito ad osservare che le responsabilità degli individui sono personali. 

 

(Paolo Nessi)