Ieri pomeriggio le agenzie di stampa hanno diramato una notizia a cui si è dato poco peso negli organi d’informazione (radio, televisione): “Crollo degli ordinativi industriali in Germania. A settembre l’indice, rettificato per gli effetti stagionali e dell’inflazione, ha registrato un ribasso del 3,3% dopo il calo dello 0,8% ad agosto (dato rivisto). È la flessione più marcata da settembre 2011 e ben peggiore delle attese degli economisti che avevano preventivato un calo dello 0,4%. Su base annua, riferisce il ministero dell’Economia tedesco, l’indice ha evidenziato un ribasso del 4,7%.” Inoltre, “i dati provenienti dall’Eurozona con un pesante -9,6% hanno spinto al ribasso il dato sugli ordini esteri, scesi del 4,5%. Giù, anche se in misura minore, gli ordini domestici, diminuiti dell’1,8% su agosto”. Vedremo se la commenteranno i giornali di oggi.
Per essere a pieno compresa, tuttavia, occorre metterla in relazione con un’altra notizia su cui nessun organo d’informazione ha ritenuto meritevole soffermarsi: all’alba del 5 novembre si è concluso a Berlino un grande negoziato tra Governo e sindacati per “ritoccare” parte dello “Stato sociale tedesco” – in breve è stato abolito il ticket di 10 euro a trimestre per fare parte del sistema sanitario nazionale, è stato introdotto un sussidio a favore di bambini di famiglie povere in età pre-scolare, è stato varato un programma speciale di assistenza per i pensionati in condizioni disagiate (specialmente nei Länder orientali, compreso quello di Berlino, ed è stato ribadito l’impegno di raggiungere l’equilibrio di bilancio entro il 2014).
In sintesi, il Governo ha anticipato i dati sulla riduzione degli ordinativi industriali (verosimilmente noti all’Esecutivo prima della diramazione ufficiale) e ha risposto con una serie di misure di politica sociale volte a lenire i costi sociali di un rallentamento dell’economia (nell’ultimo trimestre, il Pil tedesco è cresciuto a un tasso annuo dell’1%) che potrebbe preludere a una stagnazione, ove non peggio.
Alcuni sindacalisti italiani, interpellati sui dati dell’industria tedesca, oltre ai soliti “Ben gli sta!” (alla Cancelliera Angela Merkel, ndr) hanno presagito un cambiamento di maggioranza dopo le prossime elezioni federali nell’autunno 2013, ove non prima di allora. Con il cambiamento di Governo (o anche senza di esso), ci sarebbe una sterzata di politica economica di cui beneficerebbero i Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna).
È arduo fare previsioni politiche, specialmente in un contesto di rapido cambiamento – ad esempio, i successi del Partito dei Pirati, i sondaggi che indicano un tracollo del Partito liberaldemocratico. È certamente probabile che dopo dieci anni alla guida della Federazione, Angela Merkel si sia logorata. Ciò non vuol dire che il prossimo Esecutivo sarà social-democratico (è in corso una severa contesa per la leadership del partito) o che anche ove ciò avvenisse la Germania rinuncerebbe al ruolo di guida dell’Unione europea e di una leadership ispirata a rigore e riformismo. Occorre al riguardo ricordare che le riforme più incisive sono state effettuate nel 1998-2005, quando era Cancelliere il socialdemocratico Gerhard Schröder.
I nodi centrali sono tre. In primo luogo, la Germania di oggi ha lo stesso dilemma di quella di Bismarck: è così forte, così importante e così dinamica da essere il traino dell’Europa, ma non sufficientemente da poter risolvere, da sola, tutti i problemi del continente. In secondo luogo, una stagnazione nella Repubblica Federale vuole dire recessione nei Paesi più deboli: lo affermano non solo i modelli econometrici ma le stesse previsioni Istat di ulteriore contrazione del Pil italiano nel 2013. In terzo ruolo, la frenata tedesca si inserisce in un più vasto rallentamento dell’economia mondiale: India e Cina hanno quasi dimezzato i loro tassi di crescita ed è difficile fare oggi previsioni sulla direzione che prenderà l’economia americana.
Tuttavia, è in corso un ripensamento, a livello mondiale, sul nesso tra politiche di stabilizzazione finanziaria e politiche di crescita. Tale ripensamento è particolarmente accentuato in Germania; in numerosi Länder si lavora su “piani di rientro” (dal debito e dal deficit) a medio termine e silenziosamente anche a livello federale si sta operando allo stesso modo. Ciò non significa, però, che Berlino sia pronta a mutualizzare il debito con paesi che hanno dato prova, per anni, di scarsa disciplina.
In breve, c’è poco da stare allegri: se per i tedeschi si prospettano tempi grigi, per noi potrebbero essere davvero neri.