Un beffardo paradosso si sta sommando alle vessazioni cui sono sottoposte le nostre imprese: la fase recessiva ne sta erodendo i margini di profitto, ma questo è noto; quel che meno noto è che la pressione fiscale sugli utili è aumentata, nonostante questi siano diminuiti. Secondo uno studio di Infocamere effettuato su 260mila imprese, il tax rate (l’imposizione sui profitti) è salito al 36,3%, dal 35,9% dell’anno precedente. Di recente, poi, la Banca mondiale, aveva stimato, per il tessuto industriale italiano, un carico complessivo del 68.3%. Abbiamo chiesto all’onorevole Raffaello Vignali, vicepresidente della commissione Attività produttive della Camera, fino a che punto le imprese italiane potranno resistere.
E’ sostenibile una situazione del genere?
Non lo è. Anzitutto, perché siamo privi di quel contesto normativo-burocratico che consenta alle imprese di operare. Non parlo solamente di semplificazione, ma di certezza dei tempi. Molte delle aziende che vanno all’estero non lo fanno principalmente e prevalentemente per regimi fiscali più favorevoli. Per intenderci, se in Italia ci vogliono tre anni per ottenere una valutazione d’impatto ambientale, e in Svizzera sono sufficienti due mesi, è evidente che si sposteranno, preferibilmente oltre confine. Se il primo fattore critico di successo è la velocità, i tempi indefiniti o infiniti della Pubblica amministrazione rappresentano, quindi, un ostacolo determinante agli investimenti. A questo si affianca l’enorme carico fiscale. Se si sottraggono alle imprese le risorse che servono per investire, l’economia non cresce.
Perché il governo si è ostinato a impilare tasse su tasse?
Per raggiungere gli obiettivi di equilibrio di bilancio. E si fa molto prima a raggiungerlo aumentando le tasse che tagliando i costi dello Stato.
Non c’era alternativa?
Dovendo operare in tempi rapidissimi, e avendo già fatto il precedente governo tutti i tagli possibili, no. Si sapeva, d’altro canto, che l’aumento della tasse va sempre inteso come l’estrema ratio e che avrebbe comportato una fase recessiva. Ma misure alternative, quali la vendita del patrimonio pubblico, non si sarebbero potute implementare nei tempi richiesti. Resta da capire se l’inasprimento tributario sarà temporaneo o se si rivelerà strutturale.
Lei cosa prevede?
Dipenderà dal vincitore delle prossime elezioni.
Se dovesse vincerle Bersani?
Il Pd porterebbe avanti la vecchia politica industriale: sostenendo alcuni settori piuttosto che altri, garantendo loro benefici costosi sostenibili esclusivamente con l’ennesimo aumento di tasse.
Secondo lei, in che termini l’imposizione fiscale andrebbe abbassata?
E’ necessario premiare, attraverso sgravi fiscali, le imprese che reinvestono gli utili. Evitando di vincolarli a determinati capitoli. Nessuno, meglio dell’imprenditore stesso, sa cosa conviene alla sua azienda. E’ inutile che lo si premi se compra un capannone (come si è fatto in passato) se ha necessità di investire in risorse finanziarie, tecnologiche o in capitale umano. Si dovrebbe, inoltre, agire su tutta la politica a bando.
Cosa intende?
Si potrebbero eliminare tutti i bandi relativi alla ricerca scientifica, tecnologia a via dicendo, destinando l’ammontare intero di quelle risorse alla leva fiscale.
(Paolo Nessi)