La Barovier&Toso è un’impresa specializzata nell’illuminazione di alta gamma e nel design in vetro di Murano e ha sede in un palazzo veneziano del Cinquecento. Fin dal 1295 la famiglia Barovier è sempre rimasta legata ininterrottamente alla professione dei vetrai. Oggi l’azienda lavora con architetti, designer e arredatori più rinomati, e le sue creazioni sono state selezionate da marchi quali Jaeger LeCoultre, Cartier, Dolce&Gabbana e Louis Vuitton. Ilsussidiario.net ha intervistato Jacopo Barovier, amministratore delegato della Barovier&Toso.
In che modo un’azienda con una tradizione che risale alla fine del Duecento può riuscire a fare innovazione?
L’innovazione è innanzitutto un fatto culturale. Le aziende possono essere giovani o vecchie, ma se non hanno un progetto chiaro al loro interno, una capacità di interpretare il periodo storico che stanno vivendo, avranno sempre dei problemi. Evidentemente la nostra famiglia è stata fortunata, o sono stati bravi i miei antenati a essere sempre in grado di rinnovarsi, cambiare pelle e adattarsi. Ancora oggi siamo fedeli alla tradizione del vetro, inteso come lavorazione altamente artigianale, ma nel contempo siamo parte del grande mondo dell’arredo e del design. Siamo quindi sottoposti agli stimoli che ci arrivano dal mercato, che è il terreno su cui dobbiamo confrontarci.
In che modo siete impegnati a sviluppare la vostra presenza sui mercati internazionali?
Fin dalla fine dell’Ottocento, dall’epoca cioè in cui possiamo avere dei documenti che lo certificano, la nostra azienda è sempre stata molto orientata all’esportazione. Oggi l’80% del nostro giro d’affari è realizzato all’estero, dieci anni fa era il 70% e 20 anni fa il 60%. A cambiare sono le aziende, ma cambiano anche i mercati. Oggi l’Est dell’Europa e del mondo è molto più dinamico e reattivo e in migliore salute rispetto alla parte Ovest del globo. Il nostro mestiere di esportatori ci obbliga quindi a prestare grande attenzione a quella parte del mondo, che è in grado di apprezzare molto quanto proponiamo.
Le lampadine a incandescenza sono state escluse dal mercato, e il Led è sempre più il futuro. Voi come state vivendo questa fase di trasformazione del mercato?
Per noi questo è un problema marginale. In primo luogo l’esclusione delle lampade a incandescenza non vale in tutto il mondo, ma soltanto nell’Ue. Il nostro, inoltre, è un prodotto che non è particolarmente sensibile alla tecnologia elettrica o elettronica. Le nostre lampade sono acquistate essenzialmente per ragioni estetiche, per il piacere di avere un bell’oggetto al centro del salotto, una luce gradevole ed emozionante. Non c’è una grande funzione d’uso nelle nostre proposte di prodotto, e di conseguenza anche la complessità dietro la parte illuminante di un lampadario, di una lampada o di una lampada da parete per noi tutto sommato è poco significativa.
Che cosa cambia con la nomina di Luigi Lucchetta come nuovo direttore generale dell’azienda?
Uno dei motivi per cui noi siamo riusciti a sopravvivere con successo alle complessità dei tempi, è stato il fatto di essere poco legati dal punto di vista della gestione della società alle logiche della famiglia o della proprietà. Pur restando un’azienda di piccole-medie dimensioni, abbiamo sempre voluto valorizzare la componente professionale del lavoro, e quindi per forza di avvalerci di manager e collaboratori esterni. E’ un metodo che ha funzionato molto bene, e il passaggio a una figura di direttore generale è un ulteriore elemento di rafforzamento del nostro sistema organizzativo e una visione per dare stabilità al futuro. E’ un passaggio naturale, culturalmente già avvenuto e metabolizzato da molto tempo.
Ad aprile 2013 si terrà Euroluce, che fa parte de iSaloni. Che cosa vi aspettate dalla prossima edizione in una situazione non facile per il mercato?
I tempi sono impegnativi e il mondo è ancora alla ricerca di una nuova stabilità. Siamo tutti molto fiduciosi e pieni di speranze su quello che potrà portare il nuovo salone e nello stesso tempo siamo anche preoccupati di non trovarci a consuntivo a dovere dire che non è andata bene. Le aziende che hanno consolidato una loro presenza sul mercato già da tempo, in genere però considerano Euroluce non come una vera occasione di vendita o di ricerca a tutti i costi di nuovi clienti, quanto piuttosto come un modo per incontrare nuovamente i loro clienti, contatti e agenti, per fare conoscere loro le nostre nuove proposte e mantenere fluido e positivo il clima che si è instaurato nel corso dei restanti giorni dell’anno. E’ quindi un momento molto importante, ma nello stesso tempo non siamo nemmeno preoccupati che se per caso la fiera dovesse andare non troppo bene potrebbe succedere qualcosa di negativo.
(Pietro Vernizzi)