Mobili d’arte composti da legni di altissimo pregio, impreziositi da radiche sia esotiche che nazionali. Sono gli straordinari pezzi della “Nuova Falegnameria Caravelli” che espone i suoi preziosi pezzi unici ad AF-Artigiano in Fiera, sino a domenica 9 dicembre nel polo fieristico di Rho-Pero. Ma non è tutto. La falegnameria nasconde una storia bellissima che vede protagonisti Ulisse Ippoliti e la moglie Isabella Ciavarelli, che amano definirsi “sognatori” e che, per amore della tradizione, si sono imbarcati in questa avventura faticosa e appassionante. Siamo andati per ilSussidiario.net nel suo stand ad AF e Ulisse ci ha mostrato con orgoglio, oltre ai suoi mobili pregiati, anche gli strumenti del mestiere e ci ha fatto annusare l’alcool puro con il quale diluisce la gomma lacca, grazie alla quale lucida a mano tutti i suoi pezzi. «Nessuna fase della produzione è fatta con macchinari – dice Ulisse – se per lucidare un tavolo, in fabbrica ci impiegano due ore, io lo faccio in venticinque giorni».
Come è nata la “Nuova Falegnameria Caravelli”?
L’attività che ho avviato con mia moglie è nata perchè a cinquant’anni ho rilevato un vecchio laboratorio operante sino alla fine degli anni ’80 nel teramano. Non avevo alcun legame con il mondo artigiano, perchè sia io che mia moglie abbiamo fatto due mestieri prettamente intellettuali, ed è questo uno dei motivi che ci hanno spinto a etichettarla “La nuova falegnameria Caravelli”. Da qui è partita la nostra avventura che si distingue in due progetti denominati I colori della natura e I profumi della natura che rispettano il legno e i suoi componenti.
Cioè?
Il primo parte del fatto che non coloriamo i nostri mobili. L’estro creativo di mia moglie Isabella è l’unico strumento per interpretare le venature del legno. Per il secondo invece ho rispolverato il vecchio metodo della lucidatura a gomma lacca e tampone che implica un’impermeabilizzazione naturale delle scaglie prodotte dalla cocciniglia della lacca. E’ un valore aggiunto che diamo al nostro mobile: l’aspetto vegetativo non viene intaccato e i colori si modificheranno nel tempo in relazione alla luce e al loro dna e, contestualmente, ogni pezzo ha un profumo che deriva dall’essenza di cui è composto.
Qual è stata la scintilla che è scattata e che le ha permesso di rilevare un’attività dopo aver dedicato la vita lavorativa a un impiego differente?
Da anni mi sono accorto che gli artigiani hanno perso le proprie peculiarità e si sono lasciati lusingare dall’industria. Noi, invece, ci siamo fatti ispirare da una filosofia rinascimentale dove l’artigiano era “l’homo faber” cioè l’artefice di se stesso che metteva un pezzo di sé in ciò che produceva. Noi creiamo mobili d’autore e il valore dei nostri pezzi è riconducibile esclusivamente a me e a mia moglie. Da qui posso dire che i nostri tavoli, i nostri secretaire sono di Ulisse e Isabella.
Quindi non avete lavoranti o artigiani che vi affiancano in questa avventura?
Assolutamente no. Solo io e mia moglie ideiamo e creiamo i nostri pezzi. Avevo già una grande manualità e una profonda conoscenza del mestiere: mia moglie, in un certo senso, è stata facilitata perchè è architetto e ha una sua particolare creatività. Lavoriamo in una completa sinergia e consideriamo i nostri prodotti come figli.
Ci spiega la lavorazione che sta dietro mobili così particolari?
Partiamo dal taglio del tronco e facciamo il lastronato o “placage”, come veniva chiamato nel 1700 in Francia, che ha come caratteristica solo tre millimetri di spessore. Mia moglie sceglie le varie fiammature del legno e le compone nel modo più armonico a formare un intarsio e poi eseguiamo altre tecniche costruttive che ci portano a questi risultati.
A quale tipo di clientela vi rivolgete?
Il nostro è un pubblico di nicchia, colto, esigente e che ama distinguersi perchè, non a caso, nei nostri mobili c’è uno spaccato della nostra storia e della nostra cultura. Ci rivolgiamo a chi può davvero comprenderci e considera la casa lo specchio dell’anima.
Avete avuto delle difficoltà nell’avviare la vostra azienda?
Nessuna in particolare, se non il fatto che siamo dei sognatori perchè negli ultimi cinquant’anni l’industria ha spadroneggiato. Il mobile industriale, supportato da una massiccia pubblicità ha sopraffatto la cultura del mobile d’arte. Noi vogliamo riportarla al 1700 quando il mecenate portava l’artista meritevole alla corte del Re.
(Federica Ghizzardi)