In base ai dati del primo trimestre la caduta tendenziale del Pil nel 2012 sta andando oltre il -2% e potrebbe arrivare al -4%. Il governo ha predisposto una matrice di equilibrio dei conti pubblici, calibrata per il pareggio di bilancio entro il 2013, che potrebbe reggere un -2% nel 2012 e un 2013 stagnante, elevando al 23% l’Iva in autunno. Ma un -4% non sarebbe sostenibile e per reggere l’equilibrio in tale eventualità il governo dovrebbe reperire circa 30 miliardi con ulteriore tassazione. Questa amplificherebbe la contrazione economica e la riduzione prospettica del gettito, riaprendo il rischio di insolvenza dell’Italia.
Il punto: la realtà corrente segnala la priorità di azioni che interrompano con effetti a breve la spirale negativa della recessione. Quali? La riforma del mercato del lavoro, pur rilevante per l’abolizione del protezionismo sociale irrealistico, disincentiva totalmente le assunzioni dei giovani e rende troppo costosi i licenziamenti e quindi non darà impulso a nuovi investimenti industriali. L’azione di taglio alla spesa è lenta e debole, comunque irrilevante se non permette di ridurre le tasse.
I tagli strutturali di spesa dovrebbero arrivare almeno a 120 miliardi, in cinque anni, per ottenere subito un effetto stimolativo via fiducia nel futuro. Per esempio, il Regno Unito ha tagliato una cifra simile e ha varato un piano per portare la tassazione sulle imprese a non più del 20%, ottenendo un flusso di investimenti immediato solo a seguito dell’annuncio. In Italia non c’è nemmeno l’idea di un’azione simile di taglio per detassazione stimolativa. In cosa si può sperare?
Certamente la riduzione del terrorismo fiscale sarebbe la misura più efficace per contenere la caduta dei consumi, ma sarebbe in contrasto con l’esigenza del governo di fare cassa con i recuperi delle tasse evase. Per conciliare i due requisiti, si potrebbe: (a) fare un condono tombale, vero, fino al 2010 con pagamento di una tassa liberatoria; (b) creare, sulla base degli studi di settore, l’istituto della contrattazione fiscale, dal 2013 in poi, grazie al quale un cittadino che lo voglia può concordare con il fisco all’inizio di ogni anno quello che pagherà alla fine, con il risultato che una volta pagato il pattuito – flessibile a ricontrattazioni in base a contingenze – il fisco si dichiarerà sazio per quell’anno.
I rapporti con il fisco diventerebbero contrattuali per chi lo vuole (chi non lo vuole resta aperto all’accertamento), creando una certezza che permetterebbe la programmazione sia al cittadino, sia all’Agenzia delle entrate. In particolare, la seconda potrebbe lasciare il tempo a chi oggi evade – i più per motivi economici di necessità che non per avidità lussuriosa – di adeguarsi senza dover reprimere e provocare un impatto depressivo sui consumi per l’induzione della paura a comprare beni segnalabili al fisco.
Più importante per il breve termine sarebbe l’uso dell’extragettito una tantum del condono – stimabile tra i 70 e i 90 miliardi – per pagare i creditori delle amministrazioni statali e locali che attendono da anni il dovuto. Tale pagamento immediato di circa 50 miliardi risolverebbe molte crisi aziendali e immetterebbe oltre 3 punti di Pil di circolante nel mercato, contribuendo a tenere la recessione 2012 sotto il 2%. A chi non piace l’idea provi a tirarne fuori di migliori, perché senza soluzioni non-standard e di effetto immediato temo che non ne usciremo.