Non va, l’Italia è a rischio più di prima. Napolitano e Monti dovrebbero rendersi conto che la formula del governo d’emergenza non sta funzionando, pur avendo stabilizzato l’Italia per qualche mese. L’esecutivo condizionato dal requisito di consenso parlamentare sia da destra, sia da sinistra sta producendo soluzioni tecniche aberranti e nessuna riforma sostanziale. Ciò avviene principalmente perché la sinistra non è in grado di sostenere una politica riformista, in quanto non è stata riconfigurata per assumere responsabilità di governo, come invece è riuscito a quella tedesca e inglese, de-socialistizzate e pragmatizzate rispettivamente da Schroeder e da Blair.
La modifica del regime pensionistico è stato un blitz irripetibile, favorito dallo sbandamento temporaneo dei partiti. I provvedimenti successivi un pasticcio: la riforma del mercato del lavoro ne é l’esempio più evidente. Ma sono le mancanze che mostrano meglio l’impotenza del governo: l’operazione patrimonio contro debito, assoluta priorità, è nelle nuvole; la revisione della spesa appare vaga e senza obiettivo di taglio. In sintesi, il governo appare bloccato, più dalla sinistra che dalla destra. Anche se bisogna annotare che nella destra vi sono resistenze stataliste che prevalgono sulla componente liberalizzante.
Infatti, sinistra e destra parlamentari riescono a convergere solo sull’aumento delle tasse che evita ad ambedue il problema di gestire forti tagli alla spesa portatori di dissenso. In queste condizioni il governo Monti non può far altro che attuare politiche depressive non bilanciate da stimoli alla crescita, mettendo la nazione in recessione contingente e stagnazione endemica. Poiché non è credibile che tale situazione permetta di reggere il debito, e di mantenere il pareggio di bilancio dal 2013 in poi, il mercato tornerà, come sta facendo, scettico sul debito stesso. Con la complicazione di un impoverimento accelerato di una parte crescente della società, tra cui buona parte della borghesia produttiva, che promette il trasferimento del problema economico alle espressioni politiche, con rischio di destabilizzazione della nazione per ondate estremistiche contrapposte.
Da un lato, il persistere della strategia Napolitano-Monti, cioè del consenso a scapito dell’efficacia, può essere finanziato per qualche tempo dal risparmio residuo degli italiani, ancora notevole. Dall’altro, il drenaggio fiscale conseguente accelererà la destabilizzazione del sistema. Napolitano e Monti dovrebbero calcolare questo rischio e non soffermarsi solo sul calcolo della ricchezza residua che in apparenza permette scelte finte, o poco incisive, di riforma.
Soluzioni? Tre: (a) Napolitano forza nella sinistra, sua area di provenienza, una svolta riformista vera, permettendo così a Monti di essere più incisivo e di poter rispettare le attese di riequilibrio e rilancio della nazione; (b) Monti chiama una maggioranza riformista per fare sul serio che spacca destra e sinistra attuali, creando una sua coalizione centrista-riformista che poi si candiderà nel 2013; (c) andare subito a elezioni, lasciando che lo sciacquone democratico pulisca via tutto lo sporco.
La prima è la migliore. La seconda buona per rassicurare il mercato, ma bloccherebbe l’azione riformista di breve termine in vista della prova di consenso. La terza rischiosa, ma anche quella più risolutiva. Napolitano scelga una delle tre, ma non continui la strategia che sta portando la nazione al suicidio.