Stavolta il traguardo sembra vicino. Tra una settimana, giovedì 19 aprile, si terrà l’incontro tra governo, banche e imprese sulle problematiche relative all’accesso al credito cui parteciperanno, oltre al ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, i vertici dell’Associazione bancaria italiana e delle principali associazioni di categoria.
Si profila, per quella data, una soluzione di un problema tanto annoso quanto vergognoso: lo sblocco dei crediti vantati dalle imprese nei confronti della Pubblica amministrazione. Un handicap che solo nel 2010 (conti dell’I.com, istituto per la competitività) ha comportato un aggravio di 1,9 miliardi per le imprese, soprattutto Pmi. Allargando per giunta lo “spread” tra imprese italiane e concorrenza europea: contro i 128 giorni di attesa per un’azienda italiana (ma in Calabria si sale anche a 793 giorni), in Francia se ne aspettano 64, in Germania 35.
Ora si volta pagina. A confermarlo è stato lo stesso Direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini: “Stiamo definendo i dettagli dell’accordo per lo smobilizzo dei crediti verso la Pubblica amministrazione, proposta frutto dell’impegno Abi” già promesso in occasione del rinnovo della moratoria per le Pmi. La proposta, sempre per citare Sabatini, “mira a evitare l’aumento dell’indebitamento pubblico, smobilizzando i crediti sulla base della formula pro solvendo”. In sintesi, un’impresa che aspetta i soldi dovuti da un ministero o da una regione per un appalto o una fornitura potrà cedere il suo credito a una banca. A questo punto l’azienda otterrà subito i soldi dalla banca che a sua volta si rifarà sulla Pubblica amministrazione.
Anche cedendo il credito, però, sarà l’azienda a garantire sulla solvibilità della Pubblica amministrazione. E questo perché con la formula del “pro solvendo” il cedente resta responsabile di eventuali inadempienze. Perché non si è scelta la formula più lineare del “pro soluto”? Semplice, perché in quel caso la cifra versata all’imprenditore sarebbe ricaduta sulle spalle dello Stato, aumentando il debito pubblico.
I tempi? Sempre secondo il direttore generale Abi “si partirà con gradualità, con i crediti vantati verso la Pubblica amministrazione centrale e poi, in caso, si passerà a quelle locali”. Di sicuro servirà poi un decreto del ministero dell’Economia per stabilire tempi, modalità di applicazione e ultimi dettagli. Ma il ministro Passera si è pubblicamente impegnato in Parlamento a bruciare i tempi: “È intenzione del Governo – ha dichiarato – sostenere una rapida attuazione della direttiva europea sui pagamenti, quindi possibilmente anche in anticipo, operando in sinergia con il Parlamento, anche presentando opportuni emendamenti ove necessario al fine di individuare i più opportuni criteri di delega e dar loro una tempestiva attuazione, nell’ambito del rafforzamento di una cultura di correttezza e buona fede tra amministrazioni e imprese”.
Si tratta di un’inversione di tendenza rispetto al passato. Solo in questa legislatura, e cioè a partire dal 2008, questa soluzione era stata proposta quattro volte. Ma era stata sempre stoppata per il timore che avrebbe avuto un impatto negativo sull’equilibrio dei conti pubblici. Stavolta, invece, è arrivato il parere positivo del governo e anche della Ragioneria generale dello Stato. Insomma, una boccata d’ossigeno in linea con quanto prevede la Legge Comunitaria 2011 (ddl 4623/C) che impone al Governo di adottare entro gennaio 2013 misure di contrasto al ritardo nei pagamenti tra privati e pubbliche amministrazioni.
Un passo in avanti virtuoso perché, per dirla con Passera, “pensate solo a cosa significherebbe per l’economia rimettere in circolo i 100 miliardi che lo Stato deve alle imprese”. Anche dal punto di vista etico, perché quello di “non pagare per mesi e trimestri e, qualche volta, per un semestre è un comportamento che sfiora la disonestà”, ha aggiunto il ministro, secondo cui l’obiettivo del governo è ridurre questi ritardi “restando coerenti con gli obiettivi di finanza pubblica”. Per non parlare dell’impatto politico: il miliardo restituito all’economia renderà senz’altro meno amara la pillola degli aggravi previsti per le imprese dalla riforma del lavoro.
Fin qui le note virtuose. Ma non è tutto oro quel che luccica. E non certo per colpa di un governo alle prese con guasti che arrivano da lontano. E che, per la verità, negli ultimi anni sono peggiorati. Per capirci, proviamo a guardare a casa di un vicino, nella presunzione che l’handicap dei pagamenti ritardati pesa sulla competitività del Paese. Non fa certo notizia scoprire che Francia Regno Unito o Germania, sotto questo profilo ci danno dei punti. Ma proviamo a guardare in casa del cugino che condivide le nostre disgrazie: la Spagna, altra vittima dello “spread” finanziario.
Ebbene, già nel gennaio del 2010 la legge 15 ha anticipato gli effetti della direttiva Ue sul tema della competitività delle Pmi stabilendo nuovi termini per il perfezionamento dei pagamenti nelle transazioni commerciali: 60 giorni per il pagamento tra imprese (articolo 1 comma 3) e di 30 giorni per il pagamento delle pubbliche amministrazioni (articolo 3 comma 1). Le leggi, si può obiettare, rischiano di essere grida manzoniane se non sono supportate da basi materiali concrete e solide. Vero. E la Spagna lo conferma: in Murcia, Andalusia, Cantabria, Valenciana e nella Catalogna si segnalano ritardi insopportabili, di dimensioni “italiane”.
Ma per contrastare il fenomeno, tra febbraio e marzo di quest’anno, l’esecutivo di Mariano Rajoy ha stabilito di mettere a disposizione delle 17 comunidades autonomas (l’equivalente delle nostre Regioni) e delle 8mila municipalities (cioè i comuni) una cifra tra i 35 e i 40 miliardi di euro per ripagare i debiti commerciali accumulati nei confronti delle imprese fino al 31 dicembre 2011. Sono escluse le province, per le quali il problema non è particolarmente rilevante e le amministrazioni centrali, quali i ministeri.
È stata così messa a punto una società veicolo, denominata Fondo para la Financiacion de los Pagos a Proveedores (Ffpp), che ha emesso un prestito a lungo termine garantito dallo Stato, che le banche che operano nel Paese iberico si sono impegnate a sottoscrivere proquota in base alla loro presenza sul mercato. Le amministrazioni locali potranno così indebitarsi su base volontaria a dieci anni con il Fondo e saldare i loro debiti verso le imprese, dopo aver firmato un piano di risanamento il cui rispetto sarà vigilato dalle autorità centrali.
Inoltre, qualsiasi fornitore potrà contestare l’elenco (pubblico) dei debiti messo a punto dalle amministrazioni locali e così esigere, in assenza di contestazioni da parte dell’amministrazione locale, il pagamento delle fatture “scomparse” non pagate non presenti in questi elenchi; in assenza di una rapida contro-deduzione da parte delle amministrazioni locali il credito verrà considerato certo ed esigibile. Per verificare la serietà degli intenti del governo non si dovrà attendere molto. L’obiettivo è di saldare tutte le spettanze arretrate entro il 2012, ma i primi pagamenti devono arrivare entro maggio-giugno.
Rispetto al piano italiano ci sono due benefici evidenti:
1 – Si parla di debiti pro soluto, non pro solvendo. Ovvero l’azienda incassa senza doversi far carico degli “sconti” richiesti dalle banche. E senza l’onere di trovarsi comunque a garantire la “solvibilità” della Pubblica amministrazione.
2 – La certezza nell’individuazione dei crediti in tempi ragionevoli.
In Italia, però, non è stato possibile seguire la scelta spagnola (o meglio, europea) dato il carico del nostro debito pubblico (comunque circa il doppio rispetto a Madrid). Ma, forse, pesa di più ancora un altro gap nostrano.
Le amministrazioni pubbliche spagnole, il cui debito verso le imprese è cica un terzo di quello italiano, sono state in grado di fare un elenco dei crediti vantati dalle imprese nel giro di un paio di mesi o anche meno. In Italia, come ha npotato il professor Rony Hamaui su LaVoce.info molte amministrazioni pubbliche non conoscono la loro vera situazione debitoria e “pertanto difficilmente sarebbero in grado di produrre rapidamente una lista attendibile dei loro debiti commerciali e rispondere alle eventuali istanze dei creditori”.
È il risultato di una normativa fortemente statalista e irrispettosa degli individui che nel corso degli anni ha sempre cercato di tutelare, per un malinteso senso della socialità, esclusivamente la pubblica amministrazione. Ma, al solito, la legge della giungla ha favorito i furbi, ovvero quei fornitori che hanno scaricato sui fruitori dei servizi pubblici il problema del ritardo dei pagamenti.
Per queste ragioni, la soluzione pro solvendo va considerata l’inizio di un percorso, non il suo sbocco finale. Pur consapevoli che lo stato dei conti pubblici pone vincoli insuperabili non va dimenticato l’obiettivo di premiare finalmente gli onesti siano essi imprese o pubblici amministratori. Guai se finisse in un colpo di spugna eguale per tutti all’insegna della solita emergenza.