L’“ideona” salva Italia non esiste, si è sgolato a ripetere Corrado Passera durante l’intervista televisiva con Lucia Annunziata. Eppure, come gli ha fatto notare la giornalista, senza immagini adeguate anche la miglior azione di governo rischia di assomigliare a un’auto senza ruote. E pazienza se “il New Deal”, così come è stato celebrato dal cinema di Frank Capra è più una suggestione di Hollywood (per giunta sviluppata negli anni Quaranta, quando l’economia era tornata a girare a pieno regime grazie allo sforzo pubblico) che non una realtà storica: l’America dei grandi lavori pubblici, conti alla mano, non riuscì a reggere alla stretta monetaria del ‘37 quando la Fed cercò di ristabilire condizioni “normali” di credito, come Ben Bernanke si guarda bene dal fare.



L’immagine storica calza quasi a pennello perché, quattro giorni dopo l’intervista tv (da cui era emerso, a detta dei guru della comunicazione, un ministro troppo pallido e smorto per le ambizioni future di possubile premier), Corrado Passera si ripresenta con un Decalogo della crescita. Entro l’anno, promette Passera, decollerà la terapia shock in dieci punti: 1) meritocrazia (basta con gli avanzamenti di carriera per sola anzianità nella pubblica amministrazione); 2) piano casa, per rilanciare l’housing sociale grazie ai fondi stanziati dalla Cdp e dalle Fondazioni, in primis; 3) l’agenda digitale per azzerare il digital divide e rilanciare la banda larga; 4) sei gruppi di lavoro per scaricare nell’economia l’accelerazione prevista dall’agenda digitale; 5) riordino degli incentivi per la ricerca, per lo più attraverso lo strumento del credito d’imposta; 6) più sforzi per l’internazionalizzazione della nostra economia; 7) semplificazione della burocrazia al fine di render più agevole e facile il pagamento dei crediti alle imprese; 8) di nuovo sui crediti alle imprese, stavolta anche tra privati come prevede la normativa Ue; 9) sviluppo della filiera della green economy; 10) misure per facilitare il decollo delle start up che nel nostro Paese devono affrontare scogli insormontabili.



Valga l’immagine evocata a suo tempo dall’ex ministro Giulio Tremonti: se Bill Gates avesse fondato Microsoft in un garage italiano sarebbe finito nei guai con l’ufficio del lavoro, il fisco e gli ispettori sanitari nel giro di poche settimane. Peccato che, dopo la felice battuta, lo spirito innovatore di Tremonti in materia abbia prodotto ben poca cosa: fare impresa in Italia, oggi, non è certo più facile che nel 1994, quando il giovane professore si dedicò all’arte di governo.

Andrà meglio con Passera? In realtà, data la situazione di partenza, il ministro dello Sviluppo economico farà già un vero e proprio miracolo a evitare una situazione di “Sottosviluppo economico”. Gli ultimi dati sono pessimi. Gli ordinativi dell’industria a febbraio sono calati su base mensile del 2,5% (dato destagionalizzato) e segnano un tonfo del 13,2% su base annua (dato grezzo), trascinati in basso dal mercato interno. Lo rileva l’Istat, aggiungendo che il calo tendenziale è il più forte dall’ottobre del 2009.



Il rosario dei danni che la recessione sta provocando alla Corporate Italia si arricchisce del resto ogni giorno di elementi nuovi, sempre più catastrofici. Ormai, anche il Fondo monetario dispera che l’Italia possa tener fede, nonostante i sacrifici, alla promessa del pareggio di bilancio nel 2013. Mario Monti ribatte che riuscirà a rispettare l’appuntamento. Il che è possibile se il recupero dell’evasione (non conteggiato nei conti) e una riserva di sottovalutazione delle entrate (e di sopravvalutazione delle uscite) consentirà di far quadrare i conti in extremis.

Ma la cosa in realtà ha ben poca importanza: un Paese sfiduciato, in cui quasi tre milioni di italiani, come risulta dall’Istat, non cercano un impiego, ma sono disponibili a lavorare (+ 4,8% rispetto all’anno prima, ovvero 133 mila unità), rischia di essere travolto dalla sfiducia e dalla rassegnazione. A che serve la pillola delle dieci tavole di Passera a questi “inattivi “ che rappresentano l’11,6%, della forza lavoro, un dato superiore di oltre 3 volte a quello medio Ue?

A ben poco, potrebbero rispondere, con qualche ragione, i più critici. Non solo perché si tratta di provvedimenti destinati a produrre effetti nel medio-lungo termine, salvo poche eccezioni. Ma, soprattutto, perché si tratta di provvedimenti “normali” che un Paese normale avrebbe già preso da tempo. Non si può definire un terapia shock sul piano economico l’avvio mille volte annunciato dell’agenda digitale. Soprattutto se le risorse a disposizione superano di poco il miliardo di euro. Inutile riempirsi la bocca con i numeri: i 110 miliardi di cui parla l’agenda di Passera sono gli stessi di cui parlava Tremonti un anno fa, radunati tra i contributi Ue non spesi piuttosto che da altri residui del bilancio.

In sintesi, l’ideona, ovvero la somma delle dieci idee, ha senz’altro senso per rimettere l’Italia al passo con il resto d’Europa. Ma non può essere un acceleratore di uno sviluppo che non c’è. Un conto, tanto per usare una metafora, è rimettere ordine in una stanza. Altro, cambiare i mobili, cosa che si può fare solo in due modi: o pagando il mobiliere in contanti oppure emettendo nuovi debiti, purché il mobiliere accetti le nostre cambiali. Cosa che l’Ikea d’Europa, cioè la Germania, non intende fare. Come Passera e Mario Monti sanno.

Inutile, insomma, inseguire l’ideona. L’Italia non può che rimetter ordine in casa, attrezzandosi per una congiuntura migliore che verrà solo dopo sacrifici notevoli in termini di salario reale, di produttività e di consumi. Quanto ci vorrà? Promette di non essere una traversata nel deserto facile e breve, né per noi, né per la Spagna. Molto dipenderà dall’atteggiamento del nuovo governo francese. Molto di più dipenderà dall’atteggiamento dei vecchi e dei nuovi ricchi. Gli Usa non hanno alcuna intenzione di produrre un nuovo piano Marshall. Cinesi e brasiliani non intendono sostenere un nostro tenore di vita cinque o dieci volte superiore al loro.

Non è il caso di rassegnarsi. Semmai è tempo di rimboccarsi le maniche, nella consapevolezza che il problema più importante è che quei 3 milioni di inattivi non divengano ancor più numerosi. Ma per questo non esistono scorciatoie o ideone. Basta prender atto che nel Regno Unito oggi si produce il triplo delle auto che in Italia. Indiani, giapponesi e tedeschi hanno trovato oltre Manica una forza lavoro adeguata, cervelli e ricerca, burocrazia snella e sindacati che hanno accettato la massima flessibilità. E pazienza se non c’è un solo gruppo a maggioranza inglese. Le dieci proposte di Passera servono ad avvicinare l’Italia a queste regole di buon senso. Dieci pillole amare, che nel breve non porteranno né voti, né popolarità. Ma servono, anche se di sicuro non bastano.