La quota di profitto delle società non finanziarie si è attestata nel 2011 al 40,4%, il valore più basso dal 1995. Rispetto al 2010, invece, è stata registrata una riduzione di 1,1 punti percentuali. A rilevarlo è l’Istat, che mostra come nel quarto trimestre la quota di profitto sia stata pari al 40,3%, cioè 0,6 punti percentuali in meno sul trimestre precedente e 0,9 punti in meno sullo stesso periodo del 2010. Nel 2011 ha rallentato anche l’attività di investimento delle società non finanziarie rispetto all’anno precedente: gli investimenti fissi lordi sono infatti cresciuti solo dell’1,6%, mentre nel 2010 erano aumentati dell’8%. IlSussidiario.net ha chiesto un commento a Emilio Colombo, docente di Economia internazionale presso la Bicocca di Milano. «Questi dati non sono poi così inaspettati, e fanno parte della conseguenza logica della stretta del credito, dovuta alla forte crisi di liquidità delle banche a cui abbiamo assistito in questi ultimi mesi. D’altronde basta guardare con quanta pubblicità le banche stanno cercando di attirare e raccogliere capitali in questo periodo: si sprecano offerte e tassi d’interesse allettanti, ovviamente con lo scopo di attrarre capitali, ma quando successivamente bisogna erogare ecco che arriva la stretta. Se le imprese sono in difficoltà, nella fase di restrizione del credito le piccole imprese lo sono ancora di più, perché possono contare su una minore liquidità e meno asset per poter offrire garanzie collaterali. E poiché l’Italia è un’economia basata sulla piccola imprese, è evidente quanto questo sia un aspetto fortemente problematico per il nostro Paese».



Cosa dobbiamo aspettarci per il 2012?  

Ci troviamo in una crisi che ci accompagnerà ancora per parecchio tempo e che trae origine dalla crisi del debito sovrano in Europa. Le banche sono fortemente influenzate da questo aspetto, perché detengono una quota consistente del loro attivo in titoli di Stato. In questi ultimi giorni lo spread è aumentato in maniera considerevole e in Borsa le banche sono crollate, quindi è evidente la correlazione esistente: se una parte consistente del loro attivo, che sono i titoli di Stato, diventa più rischiosa, questo si riflette sulla valutazione che il mercato pone sullo stesso valore del titolo.



Per quando possiamo prevedere un graduale miglioramento?

La soluzione riguardo il debito sovrano non potrà avvenire nei prossimi mesi, ma in molto più tempo. Questo perché sostanzialmente l’Europa non si è ancora accordata su una reale soluzione del problema nel breve-medio termine, mentre sul lungo termine è stato deciso di adottare il cosiddetto Fiscal Compact, ma è un provvedimento ancora da disegnare e da definire nei dettagli. C’è uno scarso intento d’interessi su questo argomento, e i mercati ovviamente percepiscono questo stato di forte incertezza.

Le riforme attuate dall’Italia stanno in qualche modo puntando nella direzione giusta?



Ci trovavamo in una situazione difficile e ne stiamo uscendo in maniera egregia. Il governo ha certamente fatto dei passi avanti sotto questo punto di vista, ma c’è un problema di fondo, cioè che non cresciamo. Non si tratta di una scoperta recente, perché il nostro Paese non cresce in maniera sufficiente da circa vent’anni, quindi si tratta chiaramente di un problema strutturale, e per affrontarlo servono evidentemente riforme strutturali, che abbiamo iniziato a intraprendere come sul tema delle pensioni e del lavoro. Affinché queste manovre siano eque e accettate da tutti, è opportuno che siano accompagnate da misure transitorie di compensazione, quindi anche in Europa è necessario che si trovi una soluzione affinché i Paesi che intraprendono riforme strutturali per migliorare la propria situazione competitiva, possano allo stesso tempo beneficiare di un temporaneo finanziamento.

Come si sta comportando invece l’Europa?

L’anno scorso l’Italia ha attuato praticamente tre manovre, di una dimensione complessiva considerevole, e azioni per cercare di arrivare al pareggio di bilancio molto più virtuose di tanti altri Paesi. Di fronte a una situazione di questo tipo, trovo assolutamente sconcertante che l’Europa riesca solo ad avvertirci della possibilità di una seconda manovra, e mi sembra quindi chiaro che non si sta facendo nulla per mettere un Paese che vuole realmente cambiare nelle condizioni di poterlo fare.

 

(Claudio Perlini)