% Che siamo in recessione si sapeva. Tuttavia, è sempre abbastanza mortificante apprendere che l’Istat certifica con i crismi dell’ufficialità dati dal genere. Le stime sul Pil italiano sono tutt’altro che incoraggianti. Nel primo trimestre del 2011, è calato dello 0,8% rispetto al trimestre precedente, dell’1,3% rispetto al primo trimestre del 2011. Si registra il segno meno, inoltre, per il terzo trimestre consecutivo: nel terzo trimestre 2011 era al -0,2%, nel quarto a -0,7%. La situazione è preoccupante, certo. Tuttavia, i catastrofismi, oltre a essere inutili, non renderebbero giustizia alla realtà nel suo complesso. Paolo Preti, direttore del Master piccole imprese della Sda Bocconi, spiega a ilSussidiario.net perché. «Tanto per cominciare, benché siano estremamente differenti, i dati sul Pil andrebbero interpretati contestualmente a quelli sullo spread per comprendere se la situazione è allarmante o meno. I primi, infatti, rivelano lo stato di salute dell’economia reale, ma rappresentano una fotografia scattata nel passato, nonché l’effetto di una serie di fattori  e non certo la causa;  i secondi, invece, riguardano la speculazione finanziaria  e sono in grado di determinare effetti sul presente e sul futuro». Ecco, detto ciò, «considerando l’attuale differenziale tra il rendimento dei titoli italiani e quelli tedeschi – continua -, il contesto è, quantomeno, preoccupante».  



Cerchiamo di capire, in pratica, cosa significa: «Ribadiamo, intanto, che l’incidenza pratica dell’indagine Istat è poco superiore allo zero. Non è escluso che per le imprese producano ulteriore scoramento; tuttavia, per le famiglie, l’effetto psicologico è nullo. Sono già state vessate abbondantemente dall’aumento della benzina, delle bollette e delle tasse, indipendentemente da questi risultati economici». Tuttavia, spread a Pil messi insieme dovrebbero rappresentare un decisivo campanello d’allarme per il governo. «Anzitutto, l’andamento negativo dell’economia reale smentisce le previsioni di chi andava annunciando l’imminente uscita dalla crisi». Non solo: «Dobbiamo tenere debitamente a mente che, sei mesi fa, il governo legittimamente eletto era caduto per un andamento economico che è rimasto, sostanzialmente, inalterato, mentre un governo tecnico, non democraticamente eletto, sta governando nelle medesime condizioni. Salvo il fatto che l’occupazione è aumentata e il Pil retrocede».



Per lo meno, il premier e i ministri dovrebbero sentirsi sotto pressione. «L’esecutivo deve porsi una domanda sul perché le dinamiche economiche continuano a rivelarsi negative. Certo, va riconosciuto a Monti la capacità di aver riacquistato prestigio internazionale. Ma, a questo punto, è necessario che si accinga a spenderla – anche con il supporto del governo francese e suffragato dall’indebolimento della Merkel – per una chiara sterzata a livello europeo nel segno della crescita». 

Resta da capire quanti mesi ancora il Paese sarà in grado di tollerare trend negativi prima che salto la coesione sociale. «Su questo – replica Preti – non sarei particolarmente pessimista. Certo, la gambizzazione dell’ingegnere dell’Ansaldo ci riporta con la mente agli anni più bui. Tuttavia, consideriamo che nel periodo ’68-73, dopo il Boom economico degli Anni ’60, iniziarono ad esserci uno sciopero alla settimana; il periodo successivo fu quello degli Anni di piombo. Oggi, siamo al terzo anno e mezzo della crisi e ci sono stati, di fatto, due scioperi generali. Che si sono rivelati dei mezzi insuccessi».



 

(Paolo Nessi)