Il governo riconferma a parole l’azione di repressione fiscale, ma in realtà e a porte chiuse sta cercando di attutirla perché si è reso conto che è eccessiva. Al punto da indurre reazioni di rivolta aperta, con il rischio di un’escalation destabilizzante in un periodo in cui la nazione è sotto l’esame sul piano dell’affidabilità da parte dei mercati e dell’Ue e quindi deve dimostrare il massimo ordine interno. Pertanto è interesse nazionale chiarire la “questione fiscale” in Italia per trovare soluzioni realistiche, suggerendole al governo.



I punti: (a) il peso delle tasse è diventato insostenibile; (b) in cambio delle tasse il cittadino non riceve servizi equivalenti che le giustifichino in termini di costi/benefici; (c) i carichi fiscali non sono ripartiti in modo equo in quanto penalizzano la parte meno abbiente della popolazione, che deve anche affrontare un aumento del costo generalizzato della vita, creando situazioni di impoverimento e comunque di contrazione dei consumi con impatto depressivo sull’intero sistema economico; (d) le procedure di accertamento (Agenzia delle entrate) sono viziate da leggi platealmente incostituzionali, per esempio l’onere della prova a carico del contribuente e la presunzione di evasione per qualsiasi cosa non possa documentare, nonché da un ambiguo premio percentuale ai funzionari in base al recupero di gettito evaso; (e) le procedure di riscossione coattiva (Equitalia) non sono sufficientemente flessibili per adeguarsi alla situazione reale del contribuente, spesso portandolo al fallimento di impresa o personale, talvolta con conseguenze tragiche, nell’ambito della medesima ambiguità premiale detta sopra che pone dubbi sull’azione dei funzionari. In sintesi, chi è in difficoltà per la crisi trova uno Stato che lo affossa.



Da dove cominciare a riparare una situazione così compromessa, tenendo conto che nel breve termine lo Stato ha un bisogno assoluto di più entrate? La soluzione dei primi due problemi riguarda il “contratto fiscale” generale e deve essere rimandata inevitabilmente alle elezioni del 2013. Ma il terzo difetto può essere corretto subito rivedendo l’Imu e altre tasse non selettive sostituendole con altre che calibrino i pesi in base al reddito, alleggerendoli per i meno facoltosi e, soprattutto, per gli anziani. Le procedure di accertamento andrebbero velocemente riviste in relazione alla loro congruità costituzionale. Quelle di riscossione andrebbero affidate a un ente supervisore con potere di adattarle.



Ma l’azione più risolutiva prima delle elezioni sarebbe un condono fiscale oneroso, fino al 2010, che permetterebbe a chi ha evaso nel passato di redimersi, pagando, e allo Stato di incassare subito almeno 80 salvifici miliardi di extragettito. I moralisti respingeranno questa proposta, ma dovrebbero riflettere. In poco tempo lo Stato è passato da un regime fiscale bonario a uno repressivo senza dare a milioni di evasori la possibilità di redenzione. Ciò ha creato milioni di colpevoli che, però, si sentono innocenti.

Il contratto fiscale implicito vigente da decenni, infatti, è così semplificabile: i dipendenti pagano tutte le tasse e in cambio hanno una garanzia contro il licenziamento, mentre chi opera con il rischio di impresa non riceve sconti formali che lo compensino, ma un permesso informale, confermato da un’applicazione degli studi di settore che rende meno probabile l’accertamento a chi ne rispetta i parametri, a non pagare tutto il dovuto. Questo pasticcio, fonte primaria della rivolta fiscale, è sanabile solo con un condono che crei un confine netto tra passato e futuro.

 

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