Entri in un mondo che ti sembra sconosciuto quando parli con Primo Barzoni, di Viadana in provincia di Mantova, tra le rive del Po e dell’Olio. I Barzoni sono otto fratelli, figli di un falegname che gli ha insegnato la cultura e il profumo del legno. Trent’anni fa hanno costituito la Palm, una bella azienda con 65 dipendenti che produce imballaggi di legno, i pallet, in altri termini i bancali. Un pallet di qualità, soprattutto quello eco-compatibile della Palm è il miglior investimento per proteggere i prodotti dalla fase di produzione fino al punto finale di vendita. Detto questo si esce dallo sconosciuto e si vede la realtà, quella che puoi notare e guardare anche in un supermercato. E si comprende che nella singola “borsa della spesa” di ogni consumatore c’è pure il costo di quattro pallet all’anno. Siamo in un settore particolare della produzione e della lavorazione del legno, ma anche in questo caso i problemi della crisi, la necessità di innovazione, la ricerca di mercati sono simili a quelli degli altri.



La prima domanda è doverosa, quasi scontata in una situazione come quella in cui viviamo. Come reggete di fronte a questo impatto negativo dell’economia, della finanza?

Rispondo come farebbe Einstein: meno male che alla fine c’è la crisi, perché ci si rende conto delle cose che si sarebbero dovute fare da tempo e non sono state fatte. Sperando naturalmente che si prenda coscienza che si devono affrontare i problemi e ripensare un sistema economico. In questo modo aggiriamo il problema delle difficoltà di tutti i tipi e cerchiamo di andare avanti, di resistere. Io non ho sbocchi esteri, non lavoro con l’estero, la nostra produzione, il pallet, è tutta rivolta al mercato italiano.



Uno dei problemi più gravi da affrontare per la sua impresa?

Tenga conto che io devo importare l’80% della materia prima, cioè il legno. La nostra è una tipica filiera locale, ma non ci aiuta il territorio e non ci aiuta la burocrazia. Quindi io importo legno dall’Austria e dalla Germania. Facendo rapidi conti, io spendo 12 milioni di euro per ottenere la materia prima, su un fatturato annuo di 18 milioni. Su questo punto potrei raccontare infinite storie, di persone che vogliono innovare come il professor Davide Pettenella, su come cerchiamo di fare sistema, sulla cultura da sviluppare sia nei confronti del territorio, sia nei confronti del prodotto e poi sulle risposte perentorie della burocrazia.



Lei ritiene importante la valorizzazione di un territorio e la produzione che c’è in quel territorio?

Anche in questo mondo globalizzato, in questo mercato globalizzato, lo ritengo indispensabile. A mio parere i distretti sono falliti, ma è la filiera di territorio che deve essere valorizzata. Dovremmo ragionare come si costruisce un’economia di sistema partendo dal territorio in cui viviamo e operiamo, rispettando i parametri di eco-compatibilità, facendo buoni prodotti. Facendo pallet più leggeri e ancora più sicuri, più eco-compatibili. Se guardiamo solo a un’economia che tiene conto del prezzo, dei costi, alla fine non riusciamo a ottenere dei buoni prodotti e non facciamo un’economia che ha al centro la persona.

Lei sembra assegnare un ruolo nuovo agli stessi imprenditori.

Ma pensi a quanto sarebbe utile costituire una bio-segheria integrata. Noi siamo degli imprenditori del legno e dovremmo ragionare come facevano i contadini. Sarebbe utile a tutti: al territorio, ai produttori, ai consumatori.

 

È per questa ragione che voi avete fatto anche una scuola all’interno della vostra azienda?

 

È vero. Abbiamo cominciato nel 2003 con una cooperativa sociale e abbiamo lanciato quello che io chiamo il “progetto H”. Oggi facciamo corsi di formazione e anche di management. Ma questo è il ruolo che devono avere gli imprenditori oggi. Un ruolo nuovo, più ampio, con una visione più ampia dei problemi, partendo, ripeto, dal nostro territorio.

 

Lo Stato naturalmente si guarda bene dal darvi una mano.

 

Direi proprio che evita di farlo. In compenso ci riserva una pressione fiscale che mette in difficoltà. I miei dipendenti sono a tutti a tempo indeterminato, non ho dipendenti con i contratti cosìddetti atipici. Naturalmente il peso dell’Irap lo sentiamo.

 

Avete problemi con le banche?

 

Al momento non li abbiamo, ma è inutile nascondere i problemi: il costo del denaro dallo scoppio della crisi del 2008 a oggi è raddoppiato. Poi ci sono le difficoltà dei pagamenti. Non lavoriamo per il settore pubblico, ma le difficoltà delle imprese sono evidenti e i pagamenti arrivano a 120 giorni. Tenga conto che, nel frattempo, il costo della materia prima che importiamo è salito del 25%. Insomma, resistiamo, ma il settore del pallet, il nostro settore lavora sottocosto. Andiamo avanti.

 

(Gianluigi Da Rold)