È stato amministratore delegato di Fiat e presidente di Rcs, ma l’impresa a cui tiene di più l’ha fondata lui stesso quasi dieci anni fa. Cesare Romiti, dall’alto della sua esperienza, ha visto prima di altri l’importanza che avrebbe avuto la Cina nella geopolitica e nel commercio mondiale e nel novembre 2003 ha creato la Fondazione Italia-Cina. Ora l’organizzazione senza scopo di lucro ha sedi a Milano, Roma e Pechino ed è un punto di riferimento per chiunque voglia promuovere gli scambi economici, politici e culturali tra i due Paesi, in particolare i movimenti di idee, persone, beni, servizi e capitali. La Fondazione annovera tra i propri soci Ministeri, Regioni, Confindustria, le più importanti realtà imprenditoriali e i principali istituti di credito in Italia, nonché le multinazionali cinesi che hanno investito nel nostro Paese. Come presidente della Fondazione, Romiti nel 2009 ha aperto la Scuola di formazione permanente, l’unica in Italia a offrire formazione manageriale in house nelle imprese italiane che vogliono operare in Cina e ha fatto in modo che venissero attivati percorsi formativi per oltre trecentocinquanta aziende. L’anno scorso, poi, ha attivato Business Italy, il primo corso di formazione per manager cinesi. E può contare su un centro studi ad hoc, il Cesif, che è diventato un luogo permanente di informazione e d’aggiornamento statistico-economico che promuove studi, analisi statistiche, convegni e pubblicazioni sul mercato cinese a vantaggio dei soci della Fondazione e del sistema imprenditoriale italiano, ma anche di analisti, economisti, giornalisti e studenti. Ilsussidiario.net ha chiesto a Romiti di fare il punto sullo sviluppo dei rapporti con la Cina e sugli investimenti in Italia.



Qual è lo stato degli scambi commerciali tra i due paesi? Chi ci “guadagna” di più?

Nel 2011 il commercio totale, la somma di importazioni ed esportazioni, ha raggiunto quota 51,3 miliardi di dollari con un tasso di crescita del 13,7% con l’export della Cina in Italia, che ha rappresentato circa i due terzi del valore totale. L’export cinese in Italia nel primo trimestre del 2012 ha raggiunto i 6,1 miliardi di dollari (-29,35% rispetto all’anno precedente) e l’import cinese dall’Italia ha raggiunto i 3,8 miliardi di dollari (+ 2,97%). I dati del primo trimestre 2012 mostrano un forte calo del disavanzo italiano nei confronti della Cina, più che dimezzato rispetto al primo trimestre del 2011. Analizzando i dati, si evince come questo cambiamento non sia dovuto a una crescita dell’export italiano in Cina, bensì a una diminuzione delle esportazioni cinesi nel nostro Paese: tra i primi dieci settori per esportazioni in Italia, nove presentano trend negativi rispetto al primo trimestre del 2011. Tra le motivazioni di questo calo, va segnalata la crescita del mercato interno cinese.

Il Presidente Hu Jintao aveva promesso che incoraggerà investimenti privati e pubblici cinesi nel nostro Paese. Quali settori risultano più interessanti per la Cina? C’è da temere un “impoverimento” delle nostre produzioni?

L’Italia è un Paese che ricopre un grande interesse per gli investitori cinesi. Probabilmente le motivazioni del ritardo con cui l’onda di investimenti cinesi sta giungendo in Italia vanno ricercate nella scarsa attrattività del sistema italiano e nella graduale maturazione ed evoluzione della strategia di penetrazione internazionale della Cina. L’Italia, scarsa di risorse naturali, ma ampio mercato di sbocco e ricca di competenze distintive nei settori manifatturieri, è divenuta solo negli ultimi anni un target interessante per l’internazionalizzazione cinese. L’Italia ha acquisito nel tempo un’attenzione crescente da parte degli investitori cinesi. Gli ultimi dati comunicati dal National Bureau of Statistics rivelano un incremento significativo dei flussi verso l’Italia che sono passati da solo 290.000 dollari nel 2003 ad oltre 46 milioni nel 2009, calando però a soli 13 milioni nel 2010. È anche opportuno dire che una quota importante dei flussi di investimento non sono colti dalle statistiche perché passano attraverso la piattaforma di Hong Kong, oggi ancora la principale porta per la Cina, e tramite paradisi fiscali che non a caso appaiono tra le principali fonti d’investimento in Cina.

 

Recentemente, l’economista cinese Andy Xie ha messo in guardia Pechino dall’investire in Italia. Quanto può pesare un giudizio del genere?

 

Sicuramente le frasi di Andy Xie apparse su Il Corriere della Sera sono molto forti e provocatorie. Il senso, però, è corretto: bisogna darsi da fare per rendere il nostro un Paese più ricettivo agli investimenti esteri, migliorando le infrastrutture, diminuendo la pressione fiscale, riducendo la burocrazia e semplificando procedure e la legislazione. Un’intervista ad Andy Xie sarà pubblicata sul prossimo numero della nostra rivista Mondo Cinese.

 

La Cina è un importante mercato in espansione. Quanto può essere promettente per il Made in Italy? Come le nostre imprese possono attrezzarsi per cogliere al meglio questa opportunità?

 

Più che di Made in Italy parlerei di imprese italiane. Oggi le nostre imprese frammentano la propria catena del valore tra più Paesi e ha sempre meno senso parlare di produzione propriamente “italiana”. Per le imprese italiane, come evidenziato dal nostro Centro Studi (Cesif), i macro settori più caldi sono: tecnologia e infrastruttura ambientale, settore sanitario, alimentari e bevande, automotive e componenti, macchinari e macchine utensili. Questi ultimi storicamente rappresentano la quota più significativa nell’export e nell’investimento bilaterale. È infine importante concentrarsi sull’attrazione dalla Cina di capitali, studenti, risorse umane qualificate, turismo. Da sempre la Fondazione ricorda il valore cruciale della preparazione per poter avere successo in un mercato così complesso e lontano come quello cinese. I corsi che la Scuola di formazione della Fondazione organizza offrono una preparazione approfondita sia a livello teorico sia pratico, indispensabile per chi volesse affrontare con efficacia il mercato cinese.

 

Il previsto cambio al vertice del potere in Cina può cambiare qualcosa nell’atteggiamento e nei rapporti con il nostro Paese?

Ci aspettiamo grande continuità nelle relazioni internazionali e nei rapporti con l’Italia in particolare. Il probabile prossimo Presidente della Repubblica Popolare, Xi Jinping, è stato nostro ospite l’anno scorso a Milano e ha dimostrato grande interesse verso maggiori e più strette relazioni con il nostro Paese.

 

L’Europa attraversa un momento non facile. Pechino può aiutarla? E in che modo?

 

Il nostro prossimo numero di Mondo Cinese dal titolo: “Il cavaliere rosso della finanza” tratterà anche di questo. Sono evidenti le motivazioni che spingono l’Italia e l’Europa a guardare alla Cina, l’unico Paese con abbondante liquidità e in grande espansione, con un solido apparato industriale e finanziario e un mercato domestico in grande crescita. La Cina da parte sua ha un incentivo a intervenire in quanto l’Ue a 27 è il suo principale mercato e in considerazione dei costi che dovrebbe sostenere la Cina a causa di una prolungata crisi economica globale. Inoltre, la Cina detiene alla fine del 2011 3200 miliardi dollari di riserve in valuta estera e ha un incentivo a impiegarle nella maniera più efficiente: investire in euro significherebbe diversificare il proprio rischio di portafoglio. Ma in questo momento appare un rischio troppo elevato.