Lo Stato ha sbloccato circa 2,2 miliardi di euro per pagare i rimborsi alle partite Iva; sommati a quanto già versato in precedenza, siamo a 3,1 miliardi restituiti nel 2012. Un po’ pochino, considerando che lo Stato deve alle imprese tra i 60 e i 100 miliardi di euro e, semplicemente, impunemente, non glieli dà. L’immobilità, poi, diventa estrema solerzia quando i ruoli si capovolgono. E, come è ormai drammaticamente noto, quando è il cittadino a essere debitore si trova di fronte all’intransigenza più assoluta. Il Partito democratico ha lanciato un’idea per far fronte alla situazione. Francesco Boccia, onorevole del Pd, illustra a ilSussidiario.net la proposta di cui è coordinatore. «Abbiamo suggerito di modificare l’articolo 12, comma 11, quater e quinquies dell’ultimo decreto fiscale; prevedendo, così, che entro il termine di 30 giorni dalla data di ricezione dell’istanza, tutti i crediti vantati dalla imprese iscritti nei bilanci delle pubbliche amministrazioni, siano certificati. Il credito derivante da forniture, servizi e appalti, certo, liquido ed esigibile deve consentire al creditore la cessione “pro soluto” o “pro solvendo” a favore di banche e intermediari finanziari riconosciuti dalla legislazione vigente. Scaduto il termine entro il quale le pubbliche amministrazioni devono certificare i crediti, la Ragioneria generale dello Stato nomina un commissario ad Acta che entro 15 giorni deve provvedere».
Passata tale fase preliminare, ecco cosa succede: «Il creditore, una volta ottenuta, in un modo o nell’altro la certificazione, ritira il credito dalla banca; la quale, a quel punto – questa è la novità fondamentale che intendiamo introdurre – non può rifiutarsi di erogarlo, in sostituzione dello Stato. Crediamo, del resto, che, dopo i recenti abbattimenti dei tassi di interesse stabiliti dalla Bce, e dopo i prestiti concessi alle banche italiane, esse siano in grado di farsi carico dell’operazione». Attenzione: qui le cose si complicano. Una volta che le banche concedono del denaro agli imprenditori (benché gli spetti di diritto da parte dello Stato), devono in qualche modo ottenerlo indietro. L’impresa creditrice, a quel punto, diventa quindi debitrice nei confronti della banca. «L’istituto di credito eroga liquidità pari all’80-90% del dovuto. L’azienda, per 12 mesi, è responsabile della somma ottenuta. Deve restituirla. Se, tuttavia, in quest’arco di tempo, non la riceve dallo Stato o dagli Enti locali, a quel punto il debito torna in carico allo Stato».
In sostanza, «nei primi 12 mesi chi cede alla banca il proprio credito (impresa) rimane responsabile dell’eventuale insolvenza del debitore (Stato): questo è il sistema pro solvendo; trascorsi i 12 mesi il cedente non dovrà più rispondere dell’insolvenza del debitore: si passa, quindi, al sistema pro soluto». A quel punto, l’imprenditore si sfila dal rapporto a tre, che rimane tra banche e Stato. «Entro 60 giorni dalla fine dei 12 mesi, la pubblica amministrazione è obbligata a pagare in Bot a 1 anno da reperire sul mercato secondario e non con nuove emissioni».
Concedere 12 mesi di tempo ha uno scopo preciso: «Il Tesoro e la Ragioneria hanno tutto il tempo per programmare i debiti che devono pagare; mentre le banche, con il meccanismo pro-solvendo – pro-soluto non hanno più il timore di non recuperare il credito erogato». Pare non esserci alternativa: «Siamo stanchi dei meccanismi perversi che sono scattati in assenza della certificazione dei crediti. Molti Comuni o Regioni danno colpa ai patti di stabilità. Spesso è vero. Ma, in molti casi, giustificano i loro problemi di liquidità attribuendo ad altro la colpa della loro insolvenza».
(Paolo Nessi)