Secondo il Rapporto Unioncamere 2012, presentato ieri a Roma, quest’anno in Italia i posti di lavoro dipendenti scenderanno di 130.000 unità. La crisi, quindi, morde ancora, ma le previsioni delle Camere di commercio sono comunque “ottimiste” rispetto ad altre: Pil in calo nel 2012 dell’1,5% e ritorno alla crescita nel 2013, con un +0,8%. Tanto per fare un paragone, il Fondo monetario internazionale stima per il nostro Paese un -1,9% nel 2012 e un -0,3% nel 2013. Come si spiega questa differenza? «I due elementi decisivi per fare questo tipo di valutazioni – ci dice l’economista Marco Fortis, Vicepresidente della Fondazione Edison – sono i consumi delle famiglie e l’export. Unioncamere stima che i primi scenderanno del 2,1%, ma c’è chi scommette che il calo sarà superiore».
Secondo lei, chi avrà ragione?
Dipenderà dall’impatto della tassazione, che fino a questo momento non si è manifestato completamente. C’è chi ritiene che quando le tasse cominceranno a mordere, le famiglie, che hanno già ridotto i consumi a causa di aspettative negative, li diminuiranno ulteriormente, e c’è chi pensa che questi siano timori eccessivi e che non ci sarà un crollo dei consumi. Dai primi dati che si cominciano a vedere (basta pensare alle immatricolazioni auto) ho l’impressione che il 2012 sarà critico per i consumi. Per questo penso che la caduta del Pil andrà oltre l’1,5%. Anche per quel che riguarda il 2013, mi sembra che la stima sia molto ottimista.
Per quel che riguarda le esportazioni, Unioncamere ritiene che faranno segnare un +2,8%.
Effettivamente i dati del primo trimestre sulle esportazioni extra Ue sono incoraggianti. Avremo poi un calo dell’import dovuto al rallentamento della domanda interna e al fatto che l’anno scorso c’è stato un boom di acquisti dall’estero di celle fotovoltaiche che non si sta ripetendo. Quindi è possibile che l’export dia una buona mano a mitigare la situazione. Del resto, le imprese italiane che esportano stanno facendo già il massimo: tutti dicevano che il made in Italy era spacciato, ma le esportazioni sono già tornate ai livelli pre-crisi.
Oltre alle previsioni, Unioncamere ha presentato alcune proposte, tra cui quella di un patto con il Governo per portare sui mercati internazionali nei prossimi tre anni 10mila imprese tra quelle che attualmente non esportano. Cosa ne pensa?
La proposta è interessante, perché l’obiettivo non è pretendere che esporti di più chi sta già facendo i miracoli, ma si vuole allargare la base dei nostri esportatori, che è sicuramente già cospicua. Ritengo poi che stimolare a diventare esportatore chi è orientato al mercato interno o lavora come subfornitore delle imprese esportatrici sia un passo sicuramente interessante anche per il futuro.
In che senso?
Posto che l’export rimane l’unico vero canale di crescita, dato che gli investimenti pubblici per ora languono e potranno forse arrivare solo attraverso l’Europa, se l’Italia, che è già un Paese esportatore, riesce ad aumentare il numero delle imprese che riescono ad avere successo all’estero fa un investimento sul futuro. Bisogna comprendere che questa non è una crisi passeggera, ma che i suoi effetti sulla domanda interna dei paesi ricchi possono durare anche 7-8 anni. Per questo bisogna puntare sui paesi emergenti. Dunque, investire per allargare il numero degli esportatori mi sembra una strategia corretta.
Nel frattempo bisognerà fare in modo di tenere in vita le imprese che devono fare i conti con la carenza di credito e con i ritardi dei pagamenti della Pa.
Tutti hanno ben chiari i nodi, ma nessuno ancora ha indicato chiaramente come scioglierli. Dal lato dei pagamenti della Pa abbiamo il problema di non trasformarli in debito pubblico. Si potrebbe forse cercare di coinvolgere la Cassa depositi e prestiti, ma non è una soluzione facile. Per quanto riguarda il credit crunch, credo che vi sia anche il problema per le banche di capire come trovare il giusto equilibrio tra la raccolta e gli impieghi. Poi vanno fatte le dovute distinzioni.
Cosa intende dire?
Pur essendo dalla parte delle Pmi, penso ve ne siano alcune cui le banche fanno bene a non prestare soldi. Ci sono imprese che sono finite, perché i loro prodotti non sono più appetibili, perché crisi e globalizzazione ne hanno decretato la fine. Ve ne sono altre che hanno dei conti strutturalmente non negativi, ma che si trovano in un momento congiunturalmente poco favorevole. In questo caso, se una banca non è in grado di capire la loro situazione e non le aiuta, allora ha obiettivamente delle colpe.
Per quanto riguarda i debiti dello Stato, nei giorni scorsi è emersa la proposta di compensazione da parte di Angelino Alfano. Nel frattempo Unioncamere chiede che sia introdotta una disciplina speciale che impedisca il fallimento delle imprese (con tutte le conseguenze civili e penali che esso comporta) causato dai ritardi nei pagamenti della Pa. Cosa ne pensa?
La proposta di Alfano evidenzia un giusto problema, ma non so se sia tecnicamente percorribile. Per quel che riguarda la richiesta di Unioncamere, la ritengo giusta. Se le cause della crisi di un’azienda sono dovute a una responsabilità chiara ed evidente dello Stato, che non onora i propri debiti, allora un’istanza simile è più che legittima. Lo Stato deve rendersi conto che in alcuni casi sta sopprimendo i propri contribuenti, causando così una perdita di gettito a medio termine, solo perché non è in grado di pagare a breve. Queste imprese che muoiono in futuro non produrranno né reddito, né gettito, né occupazione, andando così ad aggravare la previsione di 130mila posti di lavoro in meno.
(Lorenzo Torrisi)