Con un mercato italiano bloccato, in un Paese dove non si costruisce praticamente più, fabbricare finestre, forse le migliori finestre che si fanno al mondo, diventa realmente un’impresa nell’impresa. Eppure Nicola De Carlo, imprenditore del legno con la specializzazione dei cosiddetti serramenti, cioè le finestre in gergo tecnico, non molla la sua battaglia che è quella di radicarsi nel territorio, in provincia di Taranto, produrre, difendere la sua azienda di ben 270 dipendenti e affrontare quanto prima la sfida dei mercati esteri, del nuovo mercato globalizzato, con una escalation soprattutto nell’export, il futuro anche per questo tipo di imprese italiane.



Da quanti anni esiste la sua azienda?

Nel 2014 compiremo cinquant’anni e vorremmo festeggiarli bene, nonostante le difficoltà di questo momento, di questa crisi che ci ha messo in difficoltà, ma che ci ha pure stimolato a modificare le strategie aziendali.

Lei fa finestre di ogni tipo, con quali materiali?

Le facciamo per ogni esigenza, in legno, legno-alluminio, acciaio e su un target alto di qualità e di clientela. Vogliamo difenderla, mantenerla questa nostra qualità. E questo ci costringe, in breve tempo, con un fatturato in Italia che vale ancora al momento un 80-90%, a puntare sull’estero, sull’export, fino a raggiungere un 50%. In Italia non si costruisce più e la domanda, il mercato si sono bloccati.



Su quali paesi lei conta di “sbarcare”, cioè di andare a vendere i suoi prodotti?

Guardi, noi abbiamo fatto dei veri e propri esercizi in questi due ultimi anni e vogliamo attaccare il mercato americano. Proprio quest’anno svilupperemo la nostra strategia verso il mercato americano. Abbiamo fatto degli investimenti, abbiamo creato una holding, di cui abbiamo la maggioranza, che controlla un’impresa commerciale dove abbiamo stretti collaboratori. Ripeto che è stato un grande sforzo, ma non avevamo altra scelta se volevamo mantenere il nostro prodotto di alta qualità.

In quale parte dell’America siete già pronti e puntate al momento?



Noi siamo presenti in California e i nostri prodotti sono già arrivati nelle grandi ville di Los Angeles, a Beverly Hills, a San Francisco. Lavoriamo duramente per tutto questo, attraverso collaboratori, conoscenze, in sostanza muovendoci da soli e cercando di radicarci in questo territorio.

Ma non esiste un supporto pubblico italiano all’estero, l’Ice ad esempio?

Diciamo che quelle sono realtà di rappresentanza formale. Per aggredire e poi vivere su quei mercati ci vuole ben altro: sapersi muovere, offrire un prodotto di grande qualità, saperlo pubblicizzare, essere presenti, tenere costantemente dei contatti. Un lavoro tutt’altro che semplice, ma, ripeto, una via obbligata per un’azienda come la nostra che vuole mantenere il suo standard di qualità, di eccellenza. Alla fine, l’investimento sull’export diventa una svolta importante, decisiva. Posso dire in sintesi che per restare noi stessi, noi dobbiamo allargarci.

Quali problemi si è trovato di fronte in questi anni di crisi?

Le dicevo del mercato interno, quello italiano, che è letteralmente crollato. Noi abbiamo un 50% di clientela che è rappresentato da imprese, un altro 50% da venditori e clienti. Abbiamo dei problemi di “insoluti”, mancanza di liquidità, soprattutto da parte di diverse imprese, proprio per il momento che tutti stanno passando.

 

Questo comporta dei rapporti problematici con le banche e il sistema del credito?

 

Le posso dire che abbiamo avuto dei problemi all’inizio della grande crisi, ma poi sono state le stesse banche che ci hanno dato coraggio, che ci sono state vicine, ci hanno aiutato. Non posso proprio lamentarmi.

 

E la pressione fiscale?

 

Quella è veramente pazzesca. Il dato reale, vero, è che raggiunge ormai il 68%. Ogni discorso è superfluo di fronte a una pressione fiscale di questo tipo. Fate voi i conti.

 

Scusi signor De Carlo, lei lavora anche per l’amministrazione pubblica, lo Stato, gli enti locali?

 

No, per fortuna, non mi è capitato.

 

(Gianluigi Da Rold)

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