Impossibile immaginare come è ramificata la realtà italiana della filiera del legno, cioè dei tanti addetti che vi lavorano, delle imprese di varie dimensioni, delle regioni in cui è presente. In genere, quando si pensa alla lavorazione del legno, alla sua stessa raccolta, finalizzata a tanti usi, dal mobile all’imballaggio, alle grandi costruzioni, si pensa al Nord, ai grandi distretti che hanno ormai “marchi” conosciuti in tutto il mondo. Scopri realtà anche in Umbria, nel Pesarese ovviamente, distretto anche quello di eccellenza. Poi ti imbatti in un’impresa familiare che ti stupisce. E’ “La foresta”, un’azienda familiare, nata alla fine dell’ultima guerra mondiale, che è in Calabria, a Serra San Bruno, dove ci sono le serre calabre vicino a Vibo Valentia. “La foresta” è veramente una foresta, perché si basa sulla gestione di un grande bosco di abete bianco, su un terreno di 1700 ettari. Una “perla” in una regione che si tuffa nel Mediterraneo. Annessa a questo terreno ricco di abete bianco, c’è una segheria, dove si taglia e si lavora il legno massiccio, con una tradizione e una cultura che è spesso dimenticata. Lo stesso procedimento di taglio del legno massiccio fa parte di un mestiere che bisogna imparare bene, che occorre conoscere con competenza. La signora Rosa Pesci, un architetto, segue la parte commerciale di questa azienda. Impossibile prescindere da una domanda di prammatica: come è la gestione di questo bosco, come avviene il taglio degli alberi, come si conserva ugualmente il bosco? E al contrario dei luoghi comuni che si sentono dire, ottieni risposte che sono inedite. «La gestione del bosco è ottima. Mi piacerebbe dire esemplare. Si è mantenuta questa tradizione di tagliare quando è il momento, di seguire il ciclo delle piante. Una pianta tagliata al momento giusto non muore, ricresce. E’ una pianta che muore il vero disastro».



Ma deve essere difficile oggi tagliare questo legno, farlo passare per la segheria e poi piazzarlo sul mercato con tutti i materiali di nuova generazione che fanno concorrenza?

Noi produciamo il vecchio legno massiccio, che poi serve per gli imballaggi, per i tubi di legno, le grandi travi. Oggi serve anche come alternativa energetica. E’ vero che la cultura di questa lavorazione del legno massiccio è in difficoltà, perché ci sono nuovi materiali sul mercato, che fanno concorrenza. Il lamellare ad esempio, da cui si ottengono indubbiamente buoni risultati.



Quanti dipendenti avete in questa azienda?

Una trentina: quindici nella gestione del bosco e altrettanti nella segheria. Il prodotto è di prima qualità e per le case, le antiche abitazioni, il restauro di una serie di antichi palazzi, o altre sedi storiche, questo tipo di legno, il vecchio legno massiccio, è quello che si adatta di più, direi il migliore in assoluto.

In questo momento di crisi anche voi avrete i vostri problemi. Puntate anche voi sull’export come molti altri imprenditori del legno?

No, non puntiamo sull’export. Dovremmo affrontare costi di trasporto troppo onerosi. Il problema oggi che più sentiamo è quello di fare una politica commerciale più aggressiva, quella di rilanciare una cultura che sembra dimenticata, che è stata quasi messa da parte. O forse non è più conosciuta di fronte ai nuovi materiali. Noi crediamo che questa cultura abbia ancora un’importanza fondamentale, in alcuni casi insostituibile.



 

Ci sono comunque problemi, con una pressione fiscale che alcuni giudicano ormai al limite della sostenibilità, un rapporto con le banche che  sta diventando sempre più problematico.

 

Guardi questi problemi ci saranno indubbiamente e bisogna farci pure i conti, ovviamente. Ma questa impresa ha un patrimonio, un bosco di 1700 ettari che è di per se stesso una garanzia, un patrimonio. Quindi posso dire che al riguardo, nel rapporto con le banche, non ci sono grandi problemi. Quello su cui oggi si concentrano i nostri sforzi è quello, come dicevo prima, di una politica commerciale più attiva: promuovere convegni, cercare di far comprendere a che cosa serve e quanto è utile la produzione  di legno massiccio.

 

Lei mi sta praticamente dicendo che più della crisi, si tratta di un recupero culturale?

 

Ha perfettamente compreso qual è il nostro problema e quale il problema di un’azienda come la nostra. Alla fine dipende da noi, dal prodotto che offriamo, dall’uso che si può fare di questo prodotto che dipende il futuro. I conti con la crisi bisogna farli, come tutti, poi c’è la nostra capacità che può farci fare un salto di qualità, sulla base di una tradizione che è sbagliato mettere in soffitta.

 

(Gianluigi Da Rold)