Dal primo gennaio 2012, molti giovani, pensionati, persone che hanno perso il lavoro, esodati e via dicendo che volessero intraprendere un’attività possono accedere ai regime fiscale dei minimi. Godendo, così, di una tassazione ridotta al 5% per 5 anni, dell’esenzione da Irap e Iva e da una serie di adempimenti quali gli studi di settore o lo spesometro. Benefici che fanno gola a molti. Per questo il governo, con la circolare 17/E/2012 ha ristretto i criteri d’accesso per evitare che qualcuno possa speculare sull’occasione cambiando semplicemente denominazione giuridica alla propria attività. Non potrà accedere al regime, o ne sarà estromesso, chi, ad esempio, svolge un’attività che rappresenta la prosecuzione di un lavoro incominciato come dipendente o autonomo, non si potranno ottenere ricavi o compensi superiori ai 30mila euro annui, né assumere. Resta da capire se, in realtà, il provvedimento non rappresenti una forma mascherata di ammortizzatore sociale. «Effettivamente, lo è. Tuttavia, in un momento di crisi come questo e di espulsione dal mercato del lavoro, favorire l’imprenditorialità e incentivare una persona  a mettersi in proprio è pur sempre meglio che lasciarla a casa con i sussidi, in attesa del  nuovo lavoro» spiega, raggiunto da ilSussidiario.net Paolo Preti, direttore del Master piccole imprese della Sda Bocconi. «Se servisse – continua – a dare la spinta a qualche migliaio di persone che, in alternativa, si deprimerebbero, non avendo un obiettivo da perseguire, gli effetti sul piano sociale sarebbero superiore ai costi economici».



Si fa di necessità virtù. E viceversa. «Del resto – continua -, tradizionalmente, in Italia, la tradizionale predisposizione all’imprenditorialità, in tempo di crisi, è spesso diventata anche un bisogno. E a tale predisposizione, in genere non corrispondono le condizioni adeguate por potere, effettivamente, fare impresa». Ma attenzione al rovescio della medaglia: «Va anche detto che l’imprenditorialità da incentivare è quella vera. La voglia di rischiare, gli incentivi, e l’eliminazione di tutte le barriere possibili e immaginabili non sono, di per sé, sufficienti. Il vero imprenditore diventa tale anche con il credit crunch, la crisi e senza incentivi. Insomma, senza effettive capacità l’impresa non dura». Da questo punto di vista, sarebbe utile rivedere i criteri d’accesso al regime. «Potrebbe essere opportuno selezionare gli incentivi in base a requisiti oggettivi che non si limitino al reddito o all’età anagrafica. Ad esempio, legando il provvedimento alla presentazione di un progetto». 



In ogni caso, purtroppo, al di là della bontà della misura, la consapevolezza a livello generale è un’altra: «Benché l’accorgimento del governo sia meritorio, a livello macroeconomico, di per sé, non risolve nulla. Su questo fronte, infatti, c’è da sperare che il 2013 sia l’anno della ripresa e che in parte ripartano le assunzioni».  Bisogna capire, quindi, come il regime per le micro-imprese si incardinerà nel decreto Sviluppo presentato dal governo. «E se, quindi – continua Preti – finalmente sarà sbloccato il credit crunch, se le imprese otterranno effettivamente i crediti che vantano nei confronti dell’amministrazione pubblica, e se saranno agevolate nell’esportazione, magari attraverso un coordinamento dei vari istituti italiani preposti al commercio estero». 



 

(Paolo Nessi)