Italia al terz’ultimo posto nell’Europa a 27 per quanto riguarda la competitività. A fare peggio di noi sono soltanto Grecia e Romania, come emerge da un rapporto dell’Osservatorio Ambrosetti i cui risultati sono stati anticipati da Il Sole 24 Ore. Tra gli indicatori del nostro Paese, il peggiore è senza dubbio quello che riguarda l’attrattività e il commercio internazionale, a quota 2,1, vicinissimo a quello della Romania (1,8) e anni luce dal Lussemburgo, il primo della classe con 7,5. Ma non vanno bene neppure innovazione e formazione, infrastrutture e capacità di fare business. Ilsussidiario.net ha intervistato Giovanni Marseguerra, professore di Economia politica all’Università Cattolica di Milano, per chiedergli di commentare questi dati.



Secondo lei, siamo davvero poco sopra i livelli di Grecia e Romania?

Le classifiche di competitività di questo tipo mi lasciano sempre un po’ perplesso, e mi sembra difficile pensare che l’Italia sia davvero terz’ultima davanti solo a Grecia e Romania. Ci sono però degli elementi che fanno riflettere, e uno di questi è che la nostra manifattura sta attraversando un momento di difficoltà. A certificarla in modo autorevole e scientificamente fondato è stato un recente studio di Confindustria, secondo cui la produzione manifatturiera dell’Italia è scesa dal quinto all’ottavo posto mondiale. Certamente la nostra economia sta affrontando diverse difficoltà, e gli eventi sismici del maggio scorso sono stati molto dannosi perché sono andati a colpire un’area produttiva straordinariamente importante del nostro Paese.



Quali sono nello specifico i fattori che azzoppano la competitività dell’Italia?

Il primo è il credit crunch, cioè la difficoltà che hanno le nostre imprese ad avere accesso al credito e rispetto a cui mi sembra che si stia facendo troppo poco. Le nostre imprese però stanno reagendo con grande intelligenza e con grande capacità di gestire la situazione di crisi per riuscire a sopravvivere.

In che modo?

A fronte di alcune imprese che vanno in difficoltà, la maggior parte sta scommettendo sulla maggiore innovazione e apertura ai mercati internazionali. Pur in una situazione di bassa redditività, si prefigura quindi una sorta di dualismo. Da un lato ci sono le aziende che riescono a reggere il confronto del mercato, e quindi ad adattarsi ai cambiamenti che impone, molto spesso anticipandoli. Dall’altra ci sono le aziende che invece fanno fatica a rimanere competitive.



Quali sono secondo lei i limiti dell’Osservatorio Ambrosetti?

La competitività certamente è un parametro importante, ma occorre sempre ricordarsi che non è un fine bensì un mezzo: in questo momento il fine che dovrebbe guidarci è lo sviluppo umano. Ciò che manca inoltre è soprattutto una chiara direzione di marcia a livello politico. L’Europa fa fatica a trovare una coesione e un’indicazione di percorso condivisa che sappia coniugare all’unione economica anche un’unione politica. Serve quindi una maggiore delega di poteri della politica nazionale a una politica europea, ed è proprio questo a fare sì che ci sia una difficoltà a individuare la rotta.

Sul piano più strettamente economico, quali interventi sono più necessari?

Vanno rilanciati gli investimenti e occorre incidere maggiormente sulla speculazione anche attraverso l’introduzione della Tobin Tax. La perdita della competitività del nostro sistema segnalata dall’Osservatorio Ambrosetti, che pure non va enfatizzato, certamente deve indurci a una qualche preoccupazione. Proprio per questo, è maggiormente necessario un tentativo per smuovere il Cancelliere Merkel dalle sue posizioni rigide e portarla sulle convinzioni che avevano Adenauer ed Helmut Kohl, i due padri fondatori tedeschi dell’Unione europea.

Uno dei fattori che blocca la competitività italiana è la pesantezza della Pubblica amministrazione. In che modo può essere riformata?

Si tratta di uno dei problemi più gravi del nostro Paese. La Pubblica amministrazione soffre di una incapacità di proporre, mentre si caratterizza per una grandissima capacità di imporre attraverso le tasse. Ciò che occorre è un’indicazione dei grandi obiettivi strategici, attorno ai quali le nostre imprese possano fare sistema. Al contrario la nostra amministrazione continua a non pagare i suoi debiti e a pesare in una maniera impensabile sul sistema produttivo con una burocrazia farraginosa, lenta e che impone dei costi che non sono giustificati in nessun modo.

 

(Pietro Vernizzi)