D’accordo, il bluff degli 80 miliardi del decreto sviluppo è stato svelato. Però il ministro Corrado Passera non aveva detto che con il decreto si spendevano 80 miliardi, ma che il provvedimento può mobilitare risorse complessive, comprese quelle private, per 80 miliardi.

D’accordo, sempre stime troppo generose. Ma evidentemente i governanti, seppur tecnici, si lasciano andare a qualche spot. Comunque vediamo la sostanza, al di là di quello che nel decreto non c’è rispetto alle prime bozze: credito di imposta all’innovazione, compensazione dei crediti Iva e altro ancora.



La sostanza la si rintraccia nel giudizio positivo delle maggiori associazioni di imprenditori, non solo di Confindustria. Non proprio una valutazione scontata, anche se neppure sdolcinata. Dalla riforma Fornero del lavoro agli esodati, passando per i debiti della Pubblica amministrazione e il livello cresciuto della tassazione, non si contano gli attriti fra Monti e gli industriali. Ma l’accoglimento complessivamente positivo del provvedimento curato dal ministro dello Sviluppo, Passera, e dal suo capo della segreteria tecnica, Stefano Firpo, ha un significato politico: il dicastero retto da Passera e da Mario Ciaccia è quello considerato più attento alle attese del mondo dell’impresa.



D’altronde molti dei capitoli del decreto soddisfano aspettative non solo di Confindustria che non hanno trovato spazio nelle cronache: il piano città auspicato dai costruttori, l’abbandono del sistema Sistri per la tracciabilità dei rifiuti auspicato in particolare dalle piccole imprese, semplificazioni e sblocco per ricerche e trivellazioni nei mari attese da colossi dell’energia e dell’impiantistica.

Un’ulteriore riprova della strategia dell’ex banchiere di Intesa di essere il punto di riferimento di associazioni imprenditoriali e della società civile in vista di un impegno politico nella prossima legislatura? Si vedrà. Certo è evidente il pragmatismo scarsamente ideologico con cui Passera connota la sua azione rispetto all’operato professorale del premier o del ministro del Lavoro, Elsa Fornero. Tanto Monti e Fornero non esitano a essere abrasivi e poco concilianti (basti pensare alla querelle con i vertici dell’Inps sul caso esodati), tanto Passera cerca di smussare, ammorbidire o comunque avere un consenso il più largo: è stato il caso delle energie rinnovabili e di quello del beauty contest. Anche se, rispetto a Monti, ha avuto meno cautele nell’invocare una Bce vero prestatore di ultima istanza per aggredire la crisi (mentre il premier non si è mai spinto fino a questo punto).



Nel pragmatismo passeriano rientra, ad esempio, il favore con cui il dicastero dello Sviluppo segue e asseconda l’azione della Cassa depositi e prestiti, società controllata al 70% dal ministero dell’Economia e al 30% dalle fondazioni bancarie, e per questo considerata al di fuori della Pubblica amministrazione. Una caratteristica su cui in verità l’intero governo tecnico, e liberista secondo gli esponenti più di sinistra della maggioranza, sta facendo leva per alcune operazione sistemiche. Insomma, un esecutivo tutt’altro che colbertiano sta utilizzando il “gigante addormentato” (la Cassa depositi e prestiti) che Giulio Tremonti aveva risvegliato proprio a fini colbertisti: la Cdp farà adesso perno per la dismissione di asset statali e degli enti locali. I puristi del liberismo mugugnano: che razza di privatizzazione è il passaggio dal Tesoro alla Cdp controllata dal Tesoro delle società Fintecna, Sace e Simest? I realisti ribattono: perché Francia e Germania hanno fatto e possono fare operazioni del genere con le rispettive Cdp e non noi?

La sintonia che si riscontra tra Passera e i vertici della Cdp è attestata anche dal favore con cui l’ex banchiere ha accolto una delle ultime mosse avviate dalla Cassa depositi e prestiti attraverso la partecipata Metroweb per diffondere la rete in fibra ottica in trenta città italiane, oltre Milano. Un colbertismo visto non proprio con apprensione, anzi, dai concorrenti di Telecom. A riprova che il pragmatismo non sempre coincide con la difesa dello status quo.

 

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