Il fatturato dell’industria nel mese di aprile 2012 è diminuito del 4,1% rispetto allo stesso mese del 2011. A pesare soprattutto una diminuzione del mercato interno, pari al 4,1%, solo in parte compensato da un aumento del 2,6% di quello estero. E’ quanto emerge dai dati Istat, secondo cui la variazione tendenziale degli ordinativi è pari al -12,3%. Il dato più preoccupante però è che rispetto a marzo, nell’aprile scorso gli ordinativi dall’estero sono diminuiti del 4,%. Ilsussidiario.net ha intervistato Giuseppe Colangelo, professore di Economia politica all’Università dell’Insubria, per chiedergli di commentare questi dati.
Dalle statistiche Istat emerge che gli ordinativi esteri sono in calo. Significa che le previsioni per il futuro non sono positive?
Sì, per i prossimi mesi le previsioni non sono positive, e l’export dei nostri distretti industriali ne sta risentendo. Bisognerà aspettare gli ultimi mesi del 2012 o i primi mesi del 2013 per vedere un’inversione di tendenza.
Per quale motivo si aspetta un’inversione di tendenza a fine anno?
Non siamo ancora sicuri, ma una piccola ripresa ci potrebbe essere, soprattutto per gli effetti del ciclo internazionale. Allo stato attuale anche gli altri paesi europei e non europei, compresi i mercati emergenti a forte crescita come la Cina e l’India, stanno rallentando in modo vistoso. Questo influisce anche su di noi aggravando la nostra recessione. Anche per i giganti asiatici non si prevedono miglioramenti fino a fine anno. Si può quindi sperare in una ripresa del ciclo internazionale verso la fine dell’anno o i primi mesi del 2013.
Da che cosa dipende il calo del fatturato interno?
Dipende dalla recessione. Le famiglie hanno visto calare in modo vistoso il loro potere d’acquisto e di conseguenza hanno ridotto i consumi in termini reali. Questo ovviamente si riflette sul fatturato delle imprese, cioè sul fatto che abbiamo un mercato interno che in questi mesi è molto debole.
E’ colpa soprattutto dell’aumento della disoccupazione?
Il primo fattore a incidere non è la disoccupazione, ma il fatto che i salari monetari siano rimasti più o meno costanti, mentre l’inflazione è positiva. Già questo porta quindi a una riduzione del potere d’acquisto. Dobbiamo poi aggiungere l’aumento della pressione fiscale con la reintroduzione dell’imposta anche sulla prima casa e il giro di vite sulle pensioni. E chiaro quindi che per quanto riguarda il reddito netto c’è stato un calo anche in termini reali. Il fatturato dell’energia diminuisce del 9%, quello dei beni intermedi dell’1,9% e quello dei beni di consumo dell’1,7%.
A che cosa sono dovute queste differenze?
Si tratta di differenze che non sono poi così significative, in quanto sono variazioni a livello mensile. Non diamo troppa importanza a un singolo dato mensile, quello che conta è osservare la tendenza che è ancora un po’ in discesa.
Il terziario può essere in grado di compensare almeno in parte la crisi dell’industria?
No, in quanto il terziario non cresce particolarmente. E’ proprio questo il problema dell’economia italiana: i cali dell’industria non sono sufficientemente compensati dal terziario.
Che cosa occorre fare per rilanciare l’industria?
E’ un’operazione molto difficile. Il governo ha le mani legate per la necessità di tenere in ordine il bilancio pubblico.
Il pacchetto crescita va nella giusta direzione?
Sì, perché fornisce delle misure e degli strumenti in più alle imprese, pur lasciando i conti pubblici in ordine. Bisognerà però cercare di investire un po’ di più, estendendo e potenziando in futuro le misure ideate dal pacchetto crescita e che stanno molto a cuore al ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera. Andrà dunque valutato se questo sia compatibile con dei bilanci pubblici in ordine.
E’ possibile potenziare le misure senza spendere di più?
Basterebbe qualche miliardo di investimento dello Stato in più, messo a disposizione delle imprese non in modo diretto, ma con degli incentivi fiscali. Queste somme dovrebbero essere coperte con ulteriori fondi provenienti dalla spending review o dalla possibilità di ridurre alcune spese improduttive, oppure da una ristrutturazione dei sussidi, riducendo quelli che non sono così a forte impatto sull’attività produttiva.
(Pietro Vernizzi)