Ci vuole un lungo inseguimento telefonico per raggiungerla. Poi alla fine, Nicoletta Azzi, ribattezzata la “regina del pioppo”, si concede e ti porta in un mondo di manufatti, pannelli di compensato di primissima qualità, pallet leggerissimi, che vengono prodotti con un legno che è caratteristico dell’Italia, il pioppo. Sembra quasi un mondo di fiabe, che poi sono imprese con gente in carne e ossa che vi lavora. Solo la Spagna, la Francia e il Belgio hanno boschi di pioppo come i nostri. Naturalmente, con il tempo, anche il pioppo, che ha un ciclo breve, di dieci anni, è stato trascurato. Ma questa della trascuratezza è una tipica peculiarità italiana, soprattutto delle proprie risorse. Nicoletta Azzi ha un bella azienda in quella “perla” di Sabbioneta, in provincia di Mantova, a soli cinque chilometri dal Po. La Panguaneta Spa è un’impresa familiare di seconda generazione. Nata nel 1960, in una zona dove in molti lavoravano il pioppo, oggi ha 200 dipendenti. È riuscita a sopravvivere alla selezione delle aziende, che c’è stata, ed esporta in paesi che si possono chiamare di “fascia alta”: Germania e tutta Europa soprattutto, ma anche Nuova Zelanda, Australia e Stati Uniti. È la qualità, in questo caso, che fa la differenza.
Lei difende una tradizione radicata nel suo territorio, produce un’eccellenza mondiale e alimenta un filiera di grande interesse industriale.
Il pannello di compensato è la parte più nobile della lavorazione del legno. E il compensato di pioppo è leggerissimo. Viene usato per la fabbricazione di mobili, per quello che è noto come “il fai da te”, per diverse lavorazioni come le porte. Noi, ad esempio, produciamo gli interni dei camper, delle roulottes. Ma con il pallet si arriva sino all’imballaggio di altissima sicurezza. Posso aggiungere nella filiera anche la carta, i pannelli truciolati, anche nel settore energetico è utile.
Ma attualmente il pioppo si usa meno, viene sostituito con altri materiali.
È vero, ma resta sempre insostituibile in questa filiera e con il pioppo si raggiunge una grande qualità. Questo tipo di lavorazione di “fascia alta”, ci permette di fare un export che vale il 70% del nostro fatturato. Aumenterà il nostro export, anche se noi esportiamo i nostri prodotti sin dall’inizio degli anni Sessanta.
Ma il legno di pioppo che voi usate per le vostre lavorazioni è proprio tutto italiano?
No, non è tutto italiano. L’Italia era al primo posto per i boschi di pioppo e per la lavorazione di questa pianta. Il ciclo del pioppo è breve, 10 anni. Quindi avere un pioppeto con il suo terreno era come avere un piccolo tesoro. Questa cultura è stata prima trascurata, poi addirittura abbandonata. C’è chi preferisce vedere morire una pianta, piuttosto che tagliarla al momento giusto e quindi farla ricrescere. Quindi altri paesi come Spagna, Francia e Belgio sono arrivati sul mercato. Noi, al momento, lavoriamo al 70% con pioppo italiano e con il 30% estero, soprattutto francese.
In questa nobile tradizione, in questa produzione di eccellenza, è arrivata la deriva della crisi, prima finanziaria e poi economica. Che problemi vi ha creato?
Il mercato interno, quello italiano, è fermo, immobile. In questo momento c’è un problema di “insoluti” che è veramente grave. Sul mercato estero va meglio. Ma i veri problemi non sono solo questi.
Immagino già che mi parlerà della pressione fiscale.
Quella ormai è insostenibile, veramente insostenibile. Se faccio il calcolo di tutto arrivo al 68% o al 70%. Io chiedo a tutti quelli che conoscono un poco l’aritmetica e la matematica, oltre che la gestione di un’impresa, come si fa con questa pressione fiscale a pensare che le imprese possano reinvestire, fare nuovi investimenti. È impensabile. Mentre dovremmo essere in condizioni di farlo al più presto, per restare da protagonisti in un mercato globale, sempre più competitivo. Poi arriva la burocrazia.
È un tema su cui tutti insistono, a cominciare dal nuovo presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi.
Il costo della burocrazia è altissimo e i tempi che ci fanno perdere sono altrettanto insopportabili. Guardi che noi che lavoriamo molto con l’estero, sia in Europa, sia in America, sia dall’altra parte del mondo, sappiamo bene, ci siamo accorti bene della diversa funzionalità delle burocrazia. Ma è possibile che in questi paesi si risolva tutto nel giro al massimo di sei mesi e invece qui da noi non è mai finita, con una sequenza di norme incomprensibili, di norme che si moltiplicano, che non fanno altro che crearti ostacoli?
Tocchiamo l’ultimo tema con le dolenti note: il rapporto con le banche, il problema del credito.
Devo dire che al momento sono soddisfacenti, la nostra azienda è ben patrimonializzata. Certo che questi rapporti devono essere presidiati. Possiamo dire che sono soddisfacenti, ma che potrebbero essere migliori, soprattutto in una situazione come questa.
(Gianluigi Da Rold)