Questo è il momento più delicato per le terre emiliane martoriate dal terremoto. Il tempo sta affievolendo l’emozione, le istituzioni devono decidere il modello di ricostruzione. Provare solidarietà per chi è stato colpito implica non dimenticarlo in questo preciso momento. E su questo caso va segnalato l’interesse di tutti noi, pratico. L’area colpita contribuisce moltissimo alla formazione del Pil nazionale. Se resterà inattiva per troppo tempo o se la ricostruzione non ne ripristinerà in pieno le capacità produttive, allora tutta l’Italia ne avrà un danno. Pertanto sulla stampa, pur con l’umiltà necessaria nel dare suggerimenti in materia così complessa, va stimolata un’iniziativa capace di produrre soluzioni efficaci e rapide.



Il primo incarico di ricerca nella mia carriera mi fu dato nel 1977 proprio per studiare il modello di ricostruzione dopo il terremoto del Friuli del 1976. La ricostruzione fu un successo, a costi contenuti, perché le istituzioni scelsero un modello pragmatico: se uno poteva ricostruirsi da solo la casa la Regione gli dava i soldi in mano, massima priorità alla ripresa delle attività economiche, in generale tanta praticità e poca burocrazia. Mentre la terra continuava a tremare il sistema si ricompose con sorprendente rapidità.



Dopo aver analizzato il sistema economico emiliano devastato dal sisma, mi permetto di segnalare due misure per un ripristino veloce. La prima è quella di detassare per almeno cinque, o sette, anni le imprese, oltre a dare loro credito agevolato per riparare le strutture produttive, in alternativa al finanziamento pubblico. Questo, infatti, oltre che per lentezze burocratiche, potrebbe essere meno efficace dello stimolo fiscale. In particolare, nell’area operano alcune multinazionali che poi creano un indotto di fornitori che costituisce il vero sistema di creazione della ricchezza dell’area. Le multinazionali fanno presto a cambiare nazione e così faranno in caso di lentezze o costi eccessivi. Ma credito agevolato e detassazione totale a termine sarebbero buoni incentivi per restare.



La seconda è quella di liberalizzare la ricostruzione e riparazione delle case, seguendo il testo della Regione Friuli, legge No. 17 del 1977, finanziando in velocità le famiglie, o loro consorzi, che dimostrino capacità di far da soli. Tale metodo può essere usato di più nelle aree rurali-industriali con residenze disperse e meno nei centri storici, questi necessariamente oggetto di progetti integrati di ricostruzione/riparazione. Ma intanto una parte del sistema andrà veloce con le fabbriche che ripartono.

L’andamento geofisico del sisma è tale da far prevedere una sequenza lunga di scosse, pur a intensità decrescente. È comprensibile che la popolazione, come si è visto in casi simili, resterà preda dell’ansia. Ciò indurrà le istituzioni a protrarre il periodo d’emergenza e a rinviare quello di avvio di riparazioni e ricostruzione. Va marcato che sarebbe di importanza vitale, invece, avviare il processo di ripristino immediatamente. Il fatto che la trema tremi non impedisce sul piano tecnico le ricostruzioni e riparazioni, in particolare dei processi industriali, pur potendo ostacolare, per motivi di sicurezza, demolizioni e sgombri di macerie. Si può fare, si dovrebbe.

Ovviamente è la geofisica che deve dare uno scenario sui futuri eventi sismici, in particolare dicendo se c’è un’attesa di eventi forti oppure di intensità non eccessiva che renderebbe comunque viabile il territorio anche se scosso periodicamente. Chiedere una tale cosa agli scienziati è in contrasto con il loro metodo: nulla può mai essere certo, c’è bisogno di tempo e nuovi dati, si comunica solo probabilità. Ma almeno questa probabilità venga comunicata con chiarezza per permettere un decisione.

 

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