I dati Istat relativi alla produzione industriale diffusi in giornata confermano nuovamente la problematica situazione in cui da mesi versa il Paese. Secondo quanto riferito dall’istituto nazionale di statistica, nel mese di aprile l’indice è crollato del 9,2% su base annua, il peggiore dato dal novembre 2009, mentre rispetto a marzo la produzione industriale è scesa dell’1,9%. Nei primi quattro mesi dell’anno lo stesso dato fa registrare una flessione del 6,6%, mentre nella media dei tre mesi inclusi tra febbraio e aprile il calo risulta essere del 2,5%. L’Istat riferisce che la diminuzione più rilevante riguarda il raggruppamento dei beni intermedi (-12,8%), ma cattive notizie arrivano anche da tutti gli altri comparti: -7,9% per i beni di consumo, -6,2% per i beni strumentali e -3,8% per l’energia. «E’ un ulteriore dato che conferma quello che già sapevamo – dice a IlSussidiario.net Giuseppe Colangelo, professore di Economia politica presso l’Università dell’Insubria -, vale a dire che l’Italia sta vivendo una recessione che si dimostra sempre più profonda e che evidenzia ancora una volta una situazione economica preoccupante». Intanto nel Consiglio dei ministri del 7 giugno il governo non ha saputo prendere alcuna decisione riguardo il decreto sviluppo, il provvedimento che dovrebbe aiutare l’economia italiana a intraprendere la strada della crescita, ma che ancora stenta a vedere la luce: «Ci vorrà ancora del tempo per capire il contenuto delle varie misure – spiega Colangelo -, ma da quello che si può comprendere sembra che si tratti ancora di provvedimenti piuttosto limitati. E’ quindi necessario che il governo faccia di più sul tema della crescita e che metta in cantiere misure più incisive che possano avere un maggiore effetto sull’economia del Paese. La speranza è che nelle prossime settimane questo possa accadere, contando anche sul fatto che la spending review riesca a individuare possibili tagli di spesa per finanziare politiche concrete».
Come ha fatto recentemente sapere il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi, la produzione industriale nella zona colpita dal terremoto in Emilia-Romagna rischia realisticamente uno stop di 4-6 mesi, con conseguenze sul Pil a livello nazionale da non sottovalutare. «Certamente il sisma in Emilia inciderà negativamente su questi dati perché si tratta di una vasta area in cui si produce circa l’1% del Pil a livello nazionale. E’ inoltre una zona con una buona produzione manifatturiera, quindi è chiaro che il terremoto ha aggravato la situazione già critica dell’Italia che a livello nazionale potrà subire un peggioramento di qualche punto decimale».
E’ invece di pochi giorni fa la rilevazione effettuata dal Centro Studi di Confindustria, secondo cui crisi economica, credit crunch e bassa redditività hanno fatto scivolare l’Italia dal quinto all’ottavo posto nel settore manifatturiero, con una quota che passa dal 4,5% al 3,3%. «In questo comparto l’Italia può essere classificata al secondo posto in Europa dopo la Germania – spiega ancora Colangelo -. La nostra manifattura però, come ben sappiamo, si caratterizza per una forte presenza di piccole e piccolissime imprese e proprio questa caratteristica ci ha esposto maggiormente alla crisi. Le imprese più grandi fanno generalmente meno fatica a contrastare la crisi, mentre a soffrire di più sono ovviamente quelle più piccole, soprattutto a causa dei difficili rapporti con il sistema bancario. Questo elemento di debolezza ci ha senza dubbio penalizzato ulteriormente».
Il governo continua intanto la marcia verso la ricerca del pareggio di bilancio, «un problema che ovviamente non è ancora in sicurezza – spiega il professor Colangelo -, vista la maggiore difficoltà di finanziamento dello stesso. Ritengo quindi che i due inasprimenti voluti dal governo, la politica delle pensioni da un lato e l’introduzione dell’Imu dall’altro, fossero tutto sommato dovuti. Bisogna però adesso trovare quei finanziamenti legati soprattutto al taglio della spesa improduttiva per poter avviare politiche di crescita più robuste. Dovrebbe essere questo l’obiettivo fondamentale del governo, che ormai a livello di tassazione ha già fatto il massimo possibile. Per poter finanziare politiche di crescita è necessario dunque individuare possibili risparmi sulla spesa pubblica improduttiva, tagliando sprechi che ancora permangono o politiche di trasferimenti troppo “generosi” di cui possiamo fare a meno».
(Claudio Perlini)