C’è un rapporto strano tra Governo e cosiddette Parti sociali, mettendo tra queste anche la Confindustria del nuovo presidente, Giorgio Squinzi. Nel giro di un weekend, tutto il dibattito di politica economica, ma anche quello specificamente politico, sembrava caratterizzato da una sorta di nuovo “feeling” in corso tra la Confindustria e la Cgil, in versione molto polemica e dura contro il governo di Mario Monti. Forse è stata riportata dai media una versione troppo schematica del confronto tra Giorgio Squinzi e Susanna Camusso. O forse, per ottenere un titolo si è andati al di là di quello che è stato detto.



Il presidente di Confindustria, comunque, ha sostanzialmente dato un voto incerto al “governo dei tecnici”, quasi un’insufficienza, tra il cinque e il sei, l’antico giudizio agli studenti poco diligenti, oppure ai ragazzi che studiano ma non riescono a ottenere risultati brillanti. Il Presidente del Consiglio non l’ha presa bene e ha risposto un pochino sopra le righe, accusando addirittura Squinzi di far alzare lo spread con le sue dichiarazioni. È un’accusa che, di questi tempi, appare come una “metafora” del reato di alto tradimento, soprattutto se detta da un protagonista del mondo economico.



In tutti i casi, più che la sostanza si notava la forte irritazione. Ognuno ha il suo carattere e probabilmente, in Italia, non c’è la stessa consuetudine inglese nei toni del dibattito politico democratico. Comunque, esperti o non esperti, tutti devono aver compreso che lo spread non sale di certo per le dichiarazioni del presidente della Confindustria italiana, ma piuttosto per la confusione e l’incertezza che hanno creato i leader europei che, dopo un’infinita serie di summit e di vertici, alla fine non realizzano mai nulla di concreto, anzi ricominciano subito a dividersi tra loro.



Quale è allora il punto in discussione? Nel giro di un mese e mezzo, Squinzi ha fatto più volte comprendere di non essere in sintonia con la linea di politica economica di questo governo. Aveva definito “una boiata” la riforma sul lavoro e, anche in questo caso, si era preso un rimbrotto dal ministro del Welfare, Elsa Fornero. Ma nello stesso tempo, Squinzi aveva aggiunto che ormai bisognava approvare la riforma e sostenere in tutti i casi il governo. La stessa cosa ha fatto ieri in un’assemblea di industriali in Toscana, dopo la polemica diretta con il Premier. “Le mie frasi su Monti sono state distorte”. E ancora: “Non c’è nessun asse con la Cgil”. Poi: “Non me lo aspettavo, sono polemiche basate su frasi decontestualizzate dal discorso generale in cui il senso era diverso”. Insomma, una “marcia indietro”, dove si ribadisce ancora “il sostegno al governo”. Ma dove pure si aggiunge: “Non sono le mie dichiarazioni a far salire o scendere lo spread”.

È ormai chiaro che Giorgio Squinzi e Mario Monti non sono sulla stessa linea. Ma, alla fine, che male c’è? Che problema esiste se il Presidente di Confindustria appoggia questo governo, soprattutto per uno stato di necessità e non per convinzione? Il vero problema non sono le dichiarazioni di Squinzi con le successive precisazioni e rettifiche. E non sono un problema neppure le repliche piccate di Mario Monti. In una vera e autentica democrazia esiste questo e ben altro. Il problema, in realtà, sembra diverso. C’è ormai un clima mediatico in Italia che sembra non tollerare scontri politici e dibattiti aperti.

Se l’ombroso Presidente del Consiglio si risente per una dichiarazione del Presidente di Confindustria ecco che si muovono i “big” del vecchio e impoverito “salotto dei poteri”, che tra i media, di ogni tipo, hanno sempre una voce in capitolo. È vero che Squinzi rappresenta un’ampia categoria di imprenditori italiani e quindi deve tenere conto di posizioni differenti, ma è proprio un caso che Cordero di Montezemolo, Tronchetti Provera e Bernabè debbano subito precisare il loro dissenso? Montezemolo, che si lamenta sempre per la mancata concorrenza nelle ferrovie, anche per via pubblicitaria, appena si tocca il “presidente tecnico” diventa un lealista della prima ora.

Sulla stessa linea dei tre “big” dei “poteri deboli”, il ventaglio della stampa che ha sponsorizzato il governo. Faceva impressione, ieri, che l’unico giornale che non riportava la polemica tra Monti e Squinzi fosse Il Sole 24 Ore, il giornale di Confindustria, mentre le due “ex” corazzate dell’informazione seria, Corriere e Repubblica, aprivano la “prima” proprio enfatizzando lo scontro e riservando a Squinzi giudizi duri e in certi casi irridenti.

Ma è questa l’immagine di un Paese democratico che dovrebbe discutere a fondo, senza mezzi termini, senza sfumature, ammiccamenti e retropensieri sul suo futuro e sulla strada da percorrere nei prossimi mesi? E che addirittura questo sia per alcuni oggetto di scandalo?