Dopo le voci dei giorni scorsi, è arrivata la notizia ufficiale: il gruppo Valentino vola in Qatar a seguito di un’operazione milionaria. Mayhoola for Investments Spc, società partecipata da un “primario investitore” del Paese, come è stato spiegato in un recente comunicato, ha acquisito l’intera partecipazione di Valentino Fashion Group detenuta dal Fondo Permira e dalla famiglia Marzotto, azionista con il 20% circa, ottenendo quindi il controllo anche di Valentino spa e della licenza M Missoni. Nonostante le cifre dell’operazione non siano state rese note, indiscrezioni finanziarie parlano di un movimento di circa 700 milioni di euro, vale a dire un multiplo di 27-28 volte il margine operativo lordo del 2011 (22 milioni di euro). Un’offerta altissima, dietro la quale potrebbe anche esserci la famiglia dei reali del Qatar, secondo quanto rivelato da alcune fonti finanziarie. Il gruppo Valentino, che tra il 2009 e il 2012 ha registrato una crescita di fatturato del 60%, ha chiuso il 2011 con un utile di 322 milioni di euro. «L’operazione può essere considerata interessante da diversi punti di vista, ma il mio giudizio è sostanzialmente negativo», afferma a IlSussidiario.net Salvatore Testa, Direttore del Major Moda e Design delle LS Management dell’Università Bocconi e consigliere esecutivo del Milano Fashion Institute. «Troppi importanti tasselli dell’industria e dei brand occidentali stanno inesorabilmente scivolando nelle mani di Paesi che oggi possiedono i maggiori capitali finanziari, quindi Asia, Cina, Russia e Medio Oriente. Nel breve periodo un’acquisizione del genere può anche andare a favore del brand Valentino, che viene fuori da un processo di riposizionamento abbastanza complesso, garantendo quindi un certo numero di posti di lavoro, competenze e professionalità. Resta però il fatto che ogni decisione sarà ora nelle mani della nuova proprietà, che ovviamente non è più italiana».
Il professor Testa ci aiuta a capire l’importanza dell’offerta fatta alla celebre casa di moda, spiegando che in questi casi il parametro indicativo è l’EBITDA (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization), vale a dire il margine operativo lordo (MOL). Si tratta sostanzialmente di un indicatore di redditività che evidenzia il reddito di un’azienda basato solo sulla sua gestione caratteristica, al lordo di interessi, tasse, deprezzamento di beni e ammortamenti. «E’ un parametro che viene utilizzato correntemente sui mercati finanziari per dare un valore alle aziende e normalmente, nel settore della moda e del lusso, il moltiplicatore che viene applicato oscilla tra le 10 e le 15 volte l’EBITDA. Questo significa che se Valentino ha un margine operativo lordo di circa 20 milioni, ci si poteva aspettare un’offerta intorno ai 300 milioni. Indiscrezioni finanziarie parlano adesso di 700 milioni circa e, se fosse confermato, si tratta senza dubbio di una cifra altissima che nessuno avrebbe potuto rifiutare».
Un’offerta altissima, certo, ma resta il fatto che il nostro Paese non è riuscito per l’ennesima volta a tutelare un marchio prestigioso e celebre a livello mondiale: «Valentino è solo l’ultima di una lunga serie di acquisizioni da parte di società internazionali – conclude Salvatore Testa -, basti pensare a Gucci, Fendi e Bulgari. La lista è lunga e in ogni occasione mette in evidenza tutto ciò che l’Italia non è riuscita a fare per evitare tali cessioni. Credo che i maggiori problemi siano essenzialmente due: innanzitutto, nel campo della moda, le aziende italiane non sono mai state capaci di creare alleanze e aggregazioni che potessero fare massa critica. In questo settore regna un sostanziale individualismo, che però non permetterà mai ai nostri marchi di competere con enormi patrimoni internazionali. Il secondo problema riguarda gli istituti di credito italiani che, se in passato hanno spesso favorito il mantenimento in Italia di aziende appartenenti ad altri settori, nella moda non hanno mai mosso un dito, con le conseguenze che purtroppo ora vediamo».
(Claudio Perlini)