Il legno-arredo resiste alla crisi. Almeno per ora. Anche se, in realtà, è l’export a compensare il calo della domanda interna che segue quello generalizzato dei consumi. Le difficoltà in cui versa l’edilizia, intanto, cominciano a preoccupare qualche operatore del mobile italiano. Ilsussidiario.net ha chiesto a Paolo Fantoni, Presidente di Assopannelli, facente parte della galassia di FederlegnoArredo, quali scenari si aspetta per l’immediato futuro e cosa serve per prepararsi al meglio a ogni eventualità. Fantoni, infatti, è appena stato ricevuto in audizione dalla Commissione agricoltura del Senato per presentare le richieste del suo settore, un comparto che lavora producendo pezzi per pavimenti, rivestimenti murali, porte e anche per l’industria dell’imballaggio. 



Quello del legno-arredo è un settore che da solo in Italia ha generato nel 2010 un fatturato di oltre 33 miliardi di euro, che conta più di 70mila imprese e circa 400mila addetti. Come sta vivendo questo momento di crisi?

Nell’attuale congiuntura economica negativa la filiera del legno e del mobile soffre in particolar modo la crisi dell’edilizia. Possiamo stimare che la produttività del settore sia diminuita del 20/25% rispetto agli anni di riferimento pre-crisi 2007/2008. Anche se il calo è inferiore a quello del settore automobilistico del 12/13%. E non dobbiamo dimenticare che a questo dato quantitativo si abbina una situazione nella quale il settore industriale del legno-arredo sta vivendo una necessaria ristrutturazione, dalla quale si spera che possano emergere aziende molto qualificate e sempre più forti sia in campo nazionale, sia internazionale.



A cosa si riferisce?

Penso all’attuale configurazione del settore composta prevalentemente da un’enormità di piccole e medie aziende che mi auguro possa evolvere verso una nuova configurazione caratterizzata dalla presenza di imprese medio-grandi, così da superare le diseconomie delle piccole imprese. Personalmente confido nel fatto che le imprese virtuose possano distinguersi ed essere premiate in una situazione che pure resta difficile e mortificante in questo momento.

Negli altri stati europei come se la passa il settore del legno?

Il legno-arredo europeo ha resistito e si è comportato meglio di quello italiano fino a un paio di mesi fa. Certamente hanno avuto un 2011 migliore del nostro. Ma anche nel resto d’Europa si comincia a entrare in una fase decisamente più riflessiva.



Torniamo all’Italia. Quali sono le criticità più evidenti?

C’è una situazione di rarefazione della domanda, soprattutto di quella interna. Le esportazioni, infatti, continuano a essere positive rispetto al passato: il legno-arredo esporta il 35/40% di quello che produce (11 miliardi di fatturato). E questo ci fa capire come il dato negativo riflette soprattutto un calo dei consumi interni. Una situazione che sta certamente condizionando non soltanto il livello della produzione industriale del mobile, ma anche la sua distribuzione.

E nel suo ambito di riferimento, quello dei pannelli, invece?

In questo momento sul mercato nazionale il problema che ci troviamo ad affrontare è quello della coesistenza con un numero elevato di centrali per la produzione delle biomasse, con le quali ci andiamo a scontrare per l’acquisto della materia prima. È un problema che affligge l’industria truciolare in particolare e conseguentemente quella del mobile.

 

Intanto la produzione si sposta sempre più verso Est…

 

I pannelli sono ormai rappresentativi di mercati in cui lo scambio internazionale è molto forte. Il problema dell’esubero nella capacità produttiva europea è evidente. Di conseguenza i piccoli elementi differenziali di cambio, piuttosto che la maggiore efficienza sui costi, contribuiscono a spostare volumi relativamente importanti tra i vari paesi. Dunque, nel contesto europeo, le grandi capacità produttive si sono spostate verso l’Est Europa dove sia la disponibilità di legno, sia quella di manodopera a basso costo sono evidenti. È questo un connotato che è presente in tutta l’industria del pannello e che sembra ridurre sempre più la sua presenza nei paesi dell’Europa occidentale.

 

Cosa avete chiesto al governo recandovi in commissione agricoltura del Senato?

 

Di rinvigorire la produzione nazionale di pioppo; di sburocratizzare e facilitare le procedure per l’accesso ai contributi della Pac; e la riduzione del fermo biologico da 24 a 12 mesi per i cicli di vegetazione dei pioppeti perché attualmente, rimanendo fermi due anni penalizzano la redditività dei pioppicoltori.

 

I pioppi salveranno il legno-arredo?

 

I pioppeti sono diminuiti in vent’anni da 150mila ettari a 70mila di oggi. La necessità è quella di raddoppiare la disponibilità di ettari dedicabili alla coltivazione di pioppi in Italia. Credo che da un lato un livello di consumi tutto sommato stabile e dall’altro la nascente domanda di biomasse avranno bisogno di una risposta locale, in termini di materia prima, che la pioppicoltura è per prima nominata a dare. Non dimentichiamo che l’1,3% della superficie italiana destinata a foreste, quella della pioppicoltura, genera circa il 30% del legno da opera prodotto in Italia. E non dimentichiamo che la filiera del legno porta all’industria del mobile (seconda per esportazioni al mondo) un valore aggiunto che è 5 volte superiore a quello prodotto dall’industria energetica valorizzando il legno tramite combustione. Sarebbe un controsenso che questa avesse la meglio a detrimento dell’industria del legno e del pannello. Occorre recuperare l’esperienza dei nostri nonni che del pioppo avevano fatto una ricchezza per le famiglie.

 

Ma quello delle biomasse è un problema così pressante?

A livello europeo, per via degli impegni assunti con la firma del protocollo di Kyoto, si stima una crescita esponenziale della domanda di legno: gli studi più specifici indicano nel 2030 un deficit di disponibilità di circa 200 milioni di metri cubi annui di legno. A questo punto mi sembra opportuno cercare di indirizzare sempre più l’agricoltura verso una produzione di tipo “not food”.

 

In Commissione vi hanno dato qualche risposta?

 

C’è una grande preparazione e competenza all’interno della Commissione: la visione sulla necessità di recuperare il pioppo è condivisa. La Commissione non potrà molto relativamente alle disponibilità che nasceranno dalla Pac a livello europeo. Ma almeno per quanto riguarda gli indirizzi di fondo e la riduzione da 24 a 12 mesi del periodo di fermo biologico, questi sono obiettivi che sono stati condivisi dagli esponenti del Senato presenti in Commissione.

 

(Matteo Rigamonti)