Oggi approda in Aula a Montecitorio il Decreto per la Crescita. Il Decreto contiene molte misure di intervento e poche risorse, come prevedibile in un momento di tagli. Molti media, che lo hanno magnificato all’annuncio parlando di 80 miliardi di risorse, quando si sono accorte che ne conteneva molte meno (179 milioni nel 2012; 124 nel 2013;   1,7 miliardi in sei anni), non ne hanno parlato più di tanto. È il vizio di una cultura statalista e assistenzialista di stampo keynesiano (si veda il bellissimo editoriale di Antonio Polito sul Corriere) che ritiene che senza risorse economiche pubbliche non ci possa essere crescita e a cui dobbiamo il nostro abnorme debito pubblico. Con questo non si intende affermare che le risorse, soprattutto se ben allocate, non servano: significa, che non sono la questione principale. Perché ci sia crescita occorre innanzitutto creare un contesto favorevole all’impresa, in particolare alle pmi, e agli investimenti. Il Decreto crescita punta innanzitutto a questo.



Nel lavoro alla Camera si è migliorato il testo predisposto dal Governo, introducendo diversi provvedimenti utili alle imprese. Personalmente, come Relatore ho lavorato direttamente per introdurre due norme che sono state approvate all’unanimità. La prima introduce sanzioni disciplinari per i “responsabili del procedimento” della Pubblica amministrazione che non rispettano i termini di legge per permessi, autorizzazioni, licenze, ecc. I tempi troppi lunghi della pubblica amministrazione sono la prima causa dei mancati investimenti produttività del nostro Paese. Un imprenditore mi raccontava di aver aperto uno stabilimento per la produzione di pannelli fotovoltaici in Svizzera non per la tassazione assai più bassa, ma perché là bastano due mesi per avere la valutazione d’impatto ambientale,mentre in Italia ci vogliono tre anni. Se si rispettassero seriamente i termini fissati dalle leggi italiane, guadagneremmo almeno due punti di Pil (e relativa occupazione) in più.



Il secondo riguarda lo spostamento del pagamento dell’IVA al momento in cui si incassano effettivamente i corrispettivi e non più all’emissione della fattura, per tutte le micro imprese che hanno un volume d’affari fino a 2 milioni di euro, che è il limite massimo consentito dalle norme europee. In questo caso, il beneficio va a vantaggio della liquidità per le piccole imprese fornitrici, che oggi devono pagare l’IVA molto prima di incassare i corrispettivi dai clienti a quali “fanno da banca” e non di rado si trovano in difficoltà a versare questa imposta incorrendo in sanzioni fiscali pesanti e nelle cartelle di Equitalia. È questo uno dei provvedimenti su cui le piccole imprese si battono da anni – era anche nel programma elettorale del Centrodestra fin dal 2006 – e che finalmente oggi trova forza di legge.



Sono state approvate anche altre misure per le piccole imprese, come la possibilità di emettere obbligazioni per trovare canali finanziari al di fuori del credito bancario, i voucher sui fondi della ricerca del Ministero dell’Istruzione, la possibilità per le reti d’impresa di assumere personalità giuridica, che consente loro di avere un miglior rating bancario o la prosecuzione delle detrazioni del 55% per l’efficienza energetica o gli incentivi per l’auto elettrica e la priorità di costruzioni che sfruttino l’altezza nel piano delle città. Sono stati migliorati anche i testi per la riforma delle crisi aziendali, del fallimento (che assomiglia ora al famoso Chapter 11 statunitense) e del processo civile che verrà ridotti drasticamente i tempi. Rimangono gli incentivi per le assunzioni nella green economy e per il capitale umano qualificato (scienziati, ingegneri e dottori di ricerca), la riforma dei consorzi export, che costituiscono una grande opportunità per la crescita qualitativa delle nostre pmi.

Dalla Camera esce dunque un testo importante di politica industriale. Una politica industriale nuova, non quella vecchia di assistenza basata sul finanziamento di settori ristretti o di poche imprese. Ma una politica industriale che interviene sui fattori interni, su quelli dell’ambiente esterno all’impresa (giustizia, pubblica amministrazione, credito, ecc) e su una politica fiscale in grado di favorire gli investimenti privati. Una politica non fondata sull’assistenzialismo finanziato in deficit, ma fondata sull'”enabling”, che mette le nostre imprese in grado di competere nel mondo. Speriamo di cuore che questo Decreto sia l’inizio di una nuova stagione di politiche industriali di sussidiarietà.