Per le aziende italiane che operano nel settore dell’arredo e del design l’esportazione non è più solo un’opportunità di sviluppo, ma una vera e propria necessità, resa ancora più urgente dalla crisi economica mondiale che stiamo attraversando. È quanto è emerso ieri a Venezia, nell’ambito dell’Assemblea annuale di Assarredo, al convegno dal titolo “L’arredamento italiano: scenario e nuove opportunità”. I dati d’altra parte parlano chiaro. «Quest’anno la produzione industriale è scesa del 5% e il Pil ha fatto registrare una flessione pari all’1,5% – ha spiegato Giovanni Anzani, Presidente di Assarredo -. I consumi delle famiglie sono visibilmente calati, mentre il tasso di disoccupazione è passato dall’8% al 10%. In compenso dall’export stanno arrivando dati incoraggianti. Il sistema arredamento ha fatto registrare, infatti, un aumento in questo senso del 4,7%».



Una piccola ragione di ottimismo in un Paese in cui fare impresa è sempre più difficile. «Avremmo bisogno almeno di un sistema che non ci ostacoli – ha proseguito Anzani -. Se non dovesse correre con il piombo nelle scarpe, il manifatturiero potrebbe essere, infatti, il volano dell’economia. Ma la burocrazia e la continua crescita della pressione fiscale non aiutano». Un contesto che rende la via dell’innovazione tecnologica, dell’internazionalizzazione e della scommessa sui giovani la strada obbligata per sopravvivere, come ha confermato anche l’analisi dell’economista Enrico Cisnetto: 
«Credo che in questo quadro la divisione tra pessimisti e ottimisti sia alquanto sterile. La congiuntura, che Confcommercio ha voluto paragonare a quella del Dopoguerra, va analizzata con molto realismo. Le previsioni per il prossimo anno sono estremamente negative, ma dobbiamo anche dire che il trend del nostro Paese è costante dagli anni Novanta. Mentre il mondo cresceva, tra il 1992 e il 2007, l’Italia perdeva infatti un punto di Pil all’anno per un totale di 15 punti percentuali. È chiaro quindi che i nostri problemi vengono da lontano».



E cosa fare a maggior ragione oggi, nel bel mezzo di una crisi globale? «Innanzitutto, la pressione fiscale non avrebbe dovuto essere alzata. Oggi – ha aggiunto Cisnetto – è addirittura sopra il 45% (e attorno al 54% per chi le tasse le paga davvero). Le operazioni di “moralismo fiscale” e i blitz che hanno criminalizzato la ricchezza hanno poi prodotto pochi risultati concreti, a fronte di considerevoli effetti psicologici negativi. Ma soprattutto, il governo dei tecnici ha scelto di combattere il deficit con le tasse, senza intervenire sulle grandi voci di spesa. La strada, a mio avviso, era ed è un’altra: aggredire il debito e la spesa senza usare la leva fiscale. Un esempio? Quotando in borsa il patrimonio pubblico attraverso una “società veicolo” e la partecipazione del privato. Il governo ha legittimamente preferito ricorrere all’Imu. Non credo però che sarà una patrimoniale a salvarci».



Ma se sul fronte interno lo scenario annunciato non può di certo lasciare tranquilli gli imprenditori, c’è chi, pur tra mille difficoltà, sta riuscendo a imporsi sulle nuove frontiere del mondo, a cominciare dalla Cina. «Siamo un Paese di formidabili produttori. A cominciare dall’arredo, infatti, non siamo secondi a nessuno – ha spiegato Giuliano Noci, Prorettore delegato del Polo territoriale cinese del Politecnico di Milano -. Oggi però questo non basta più. Dobbiamo imparare a vendere e a raggiungere i nuovi mercati: la maggior parte delle nostre imprese esporta principalmente in Svizzera, un Paese di 10 milioni di abitanti, mentre sono ancora poche quelle che sono riuscite a farlo in Cina. Stiamo parlando, in questo caso, di un colosso di un miliardo di abitanti con un’alta capacità d’acquisto, il secondo mercato del lusso al mondo. Una civiltà che ha un pregiudizio positivo sull’Italia, che riconosce la nostra cultura millenaria e che sta vedendo avanzare una nuova generazione di giovani orgogliosi e facoltosi. Un continente in cui il Pil cresce con percentuali da record e che nei prossimi 18 anni vedrà spostarsi verso le città 200 milioni di persone».

Per non farsi trovare impreparati davanti a un’occasione simile, “fare rete” sembra però un obbligo. «Senza progetti strategici condivisi questo obiettivo diventa senza dubbio una “missione impossibile” – ha proseguito Noci -. Le problematiche sono senz’altro complesse e variegate, a cominciare dalle economie di scala e dai volumi di produzione che bisogna poter garantire. Per accettare la sfida bisogna perciò decidersi a “fare squadra”». “Esportare la dolce vita” comunque non è più una chimera, ha spiegato il Direttore del Centro Studi di Confindustria, Luca Paolazzi, illustrando i risultati di una ricerca proiettata sul 2017. Dai primi risultati a disposizione emerge un dato molto interessante: se le imprese italiane del “bello e del ben fatto” riusciranno infatti a essere competitive nei paesi emergenti (Russia, Cina e Paesi arabi su tutti) le esportazioni italiane entro il 2017 cresceranno di 1,3 miliardi di euro, raggiungendo quota 3,3 miliardi.

Gli imprenditori dovranno crescere, in maniera ordinata, senza perdere la propria identità. «Come ha detto Massimo Gramellini – ha concluso Paolazzi – dobbiamo rimanere il “Paese delle meraviglie”, altrimenti non saremo più niente».

 

(Carlo Melato)

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