Ben 33mila microimprese fallite negli ultimi tre anni, il 70% delle aziende ha problemi a recuperare crediti commerciali, il 50% ha difficoltà ad avere prestiti dalle banche. E rispetto al primo semestre 2008 (l’ultimo precedente la grande crisi attuale), sono sparite circa 13mila aziende. I dati pubblicati dal Censis nel suo ultimo rapporto sono drammatici. Da sempre polmone del nostro tessuto economico, la microimpresa, complice la crisi che colpisce tutto l’Occidente, si trova allo stremo. Giovanni Marseguerra, professore ordinario di Economia politica all’Università Cattolica di Milano, dove insegna anche Economia dell’impresa e Logica e decisioni razionali, conferma a IlSussidiario.net: «Le piccole aziende italiane sono in una morsa mortale. Da una parte la recessione fa diminuire in modo sostanziale la redditività, dall’altra il credit crunch le mette in situazioni di difficoltà in termini di mancanza di liquidità». Per Marseguerra, in Italia si sconta una mancanza endemica di fiducia nella piccola impresa, un problema culturale grave perché queste microimprese producono ricchezza per tutti. E dall’Europa, aggiunge, non arrivano segnali positivi.
Professore, la microimpresa è definita da sempre il motore del nostro sistema produttivo. È possibile dire che la piccola azienda soffra di un limite di fragilità strutturale che la rende oggi ancora più vulnerabile?
Innanzitutto specifichiamo che stiamo parlando di aziende con meno di nove addetti. Certamente se da un lato risultano fragili, dall’altro risultano produttrici di una forza propulsiva straordinaria. La piccola impresa da noi è assolutamente fondamentale, ma le aziende di piccole dimensioni prevalgono un po’ in tutto il mondo. Da noi questa realtà è particolarmente accentuata in quanto viene misurata in termini di occupazione.
Dunque è una realtà insostituibile…
Le micro e piccole imprese nel nostro Paese producono un’occupazione più elevata che nelle altre nazioni. In questo senso l’Italia viene considerata il Paese della piccola e piccolissima azienda.
Analizziamo i dati del Censis: che impressione le fanno?
I dati del Censis sono drammatici. Questo perché le nostre piccole imprese sono il propulsore del sistema produttivo, ma si trovano da un lato schiacciate in una situazione in cui la recessione fa diminuire in modo drammatico la redditività e dall’altro con il credit crunch che le mette in difficoltà per mancanza di liquidità. Insomma, si trovano in una morsa: la recessione da una parte e il credit crunch dall’altra.
Questa morsa che cosa comporta?
Aumenta il numero dei fallimenti. Abbiamo un dato numerico davvero impressionante: diminuisce sempre più il numero di aziende rispetto al periodo pre crisi – ne mancano 13mila – e diminuisce anche il tasso di sopravvivenza, che era il 63% nei primi anni Duemila e adesso è sceso a quota 58%.
Il governo tecnico sta facendo qualcosa per sostenere la microimpresa?
E il credit crunch?
Ecco che il credit crunch diventa micidiale perché non è neanche possibile andare dalle banche a chiedere prestiti e avere la liquidità necessaria a far fronte alle scadenze immediate. Questa è la vera difficoltà. Io non credo che lo Stato debba risolvere tutti i problemi delle piccole aziende: esse devono attrezzarsi da sole, devono riuscire a competere, a internazionalizzarsi e a innovare. Ma questo le nostre aziende lo sanno fare molto bene. Però lo Stato deve porle in condizioni di poter competere onestamente. Il credit crunch è una palla al piede all’attività dell’azienda. Questo perché il capitale finanziario è pur sempre importante nella nostra società.
Dunque lo Stato non fa abbastanza.
Molti di questi dati ci dicono che lo Stato italiano non fa abbastanza per creare un ambiente favorevole all’attività di impresa. Anche gli interventi sono sempre un po’ esitanti.
Questo perché? Per via della crisi in cui ci troviamo o è una paura congenita?
Siamo il Paese della piccola impresa e dei grandi imprenditori, della grande capacità imprenditoriale. Dall’altro lato scontiamo sempre una forma di poca attenzione quasi di diffidenza verso l’imprenditorialità. Questo è un fatto culturale molto negativo perché non ci si rende conto che queste piccole aziende sono quelle che creano ricchezza per tutti. Sono aziende che fanno profitti per loro certamente, ma anche per creare occupazione e per creare investimenti. Queste sono le aziende che andrebbero messe in condizione di competere con gli altri Paesi senza essere invece appesantite con la burocrazia e un sistema di tassazione micidiale.
Il Censis parla di microcredito come possibile aiuto.
Può essere certamente un forte aiuto alla attività però tuttavia il sistema bancario deve uscire da una situazione di poca attenzione alle esigenze dello sviluppo. Mi rendo conto che lo spread è una questione difficile e che siano in balia della speculazione sui mercati e il riflesso immediato è sul credito alle imprese. E’ però importante intervenire su queste questioni macro. Anche le conclusioni del vertice di Bruxellles non mi sembra che complessivamente abbiano condotto a risultati definitivi.
In che senso?
Manca la solidarietà tra Paesi e popoli, una solidarietà che può condurre effettivamente la globalizzazione a diventare un processo dove non saremo solo vicini ma anche fratelli. Questa solidarietà manca e queste misure sono tentativi di sopperire a questa mancanza con tentativi tecnici che però hanno un risultato scarso. La messa in pratica di quanto concordato non è detto che rispecchi quanto sembrava emergere alla fine del vertice.
Siamo il Paese della piccola impresa e dei grandi imprenditori, della grande capacità imprenditoriale. Dall’altro lato scontiamo sempre una forma di poca attenzione, quasi di diffidenza verso l’imprenditorialità. Questo è un fatto culturale molto negativo perché non ci si rende conto che queste piccole aziende sono quelle che creano ricchezza per tutti. Sono aziende che fanno profitti per loro, certamente, ma anche per creare occupazione e per creare investimenti. Queste sono le aziende che andrebbero messe in condizione di competere con gli altri Paesi senza essere invece appesantite con la burocrazia e un sistema di tassazione micidiale.
Il Censis parla dello strumento del microcredito come possibile aiuto.
Può essere certamente un forte aiuto all’attività, tuttavia il sistema bancario deve uscire da una situazione di poca attenzione alle esigenze dello sviluppo. Mi rendo conto che lo spread è una questione difficile e che siamo in balìa della speculazione sui mercati con un riflesso immediato sul credito alle imprese. È però importante intervenire su queste questioni macro. E non mi sembra che complessivamente anche le conclusioni del vertice di Bruxelles abbiano condotto a risultati definitivi.
In che senso?
Manca la solidarietà tra Paesi e popoli, una solidarietà che può condurre effettivamente la globalizzazione a diventare un processo dove non saremo solo vicini ma anche fratelli. Questa solidarietà manca e queste misure sono tentativi di sopperire a questa mancanza con tentativi tecnici che però hanno un risultato scarso. La messa in pratica di quanto concordato non è detto che rispecchi quanto sembrava emergere alla fine del vertice.
(Paolo Vites)