Il decreto Sviluppo firmato dal ministro Passera dovrebbe rappresentare il volano della ripresa. Alcune misure, in particolare, come l’estensione per le aziende con un giro d’affari inferiore ai due milioni di euro della possibilità di pagare l’Iva una volta incassata la fattura, l’agevolazione dell’assunzione di risorse qualificate o l’incentivo a coalizzarsi in reti d’impresa, dovrebbero dare al sistema imprenditoriale una boccata d’ossigeno. Che, tuttavia, secondo il segretario generale della Cgil, Susanno Camusso, non basterà. La leader sindacale, intervistata dall’Unità, infatti, si è detta convinta dell’insufficienza del provvedimento. L’unica alternativa, secondo lei, sarebbe un intervento diretto dello Stato che dovrebbe comprare quote delle aziende in difficoltà ricollocandole sul mercato a crisi passata. «I problemi della imprese italiane non si risolvono in questo modo» spiega a ilSussidiario.net Nicola Rossi, senatore del Gruppo misto e presidente dell’Istituto Bruno Leoni. «La proposta della Camusso contribuirebbe ad aumentare la spesa pubblica, causa di gran parte dei problemi italiani che, a quel punto, si inasprirebbero; e determinerebbe, inoltre, l’ennesimo aumento delle tasse». Tra l’altro, si tratterebbe di un’operazione infattibile: «Di quale imprese parla la Camusso? Se si riferisce a quelle che sono sull’orlo del fallimento per colpe proprie, una volta salvate sarebbero in ogni caso fuori mercato; e se si riferisce a quelle quotate, lo Stato dovrebbe dar vita un’attività di verifica del loro effettivo valore che non è assolutamente in grado di fare». La verità? «Sappiamo bene che la Camusso è preoccupata del fatto che a settembre, prevedibilmente, migliaia di lavoratori perderanno il proprio posto. Paradossalmente, proprio a causa di una riforma del lavoro senza né capo né coda». Ovvero: «doveva dare certezze alle imprese e ai lavoratori e ha prodotto l’effetto contrario; il rapporto di lavoro, infatti, continua ad essere fisiologicamente sotto l’egida di un giudice mentre, all’ingresso, sono stare rese ancora più rigide norme che erano tutt’altro che flessibili». Sta di fatto che la crisi insiste nel falcidiare senza alcuna pietà le imprese italiane. Continuiamo ad essere una delle economie più avanzate al mondo, è vero. Ma il morbo della finanza deviata ha iniziato da tempo a erodere anche la vita reale, obbligando decine e decine di aziende a chiudere. Ogni giorno, secondo le rilevazioni effettuate da Cribis D&B, società leader nel settore delle business information nei primi sei mesi del 2012 hanno chiuso i battenti ben circa 35 imprese al giorno, ovvero 6.321.
Come se non bastasse, dal gennaio 2009, da quanto, cioè,la crisi ha iniziato a manifestare i suoi effetti più perversi, sono 39.159 le imprese che hanno cessato la propria attività. L’auspicio che il governo Monti riesca a invertire il trend è altissimo. Come fare, quindi, se anche la trovata della Camusso risulta inapplicabile? «La via per aiutare le nostre imprese – conclude Rossi – consiste nel tagliare la spesa pubblica per abbattere le imposte e nel dare vita ad un ampio programma di privatizzazione per alleviare il carico fiscale e restituire alla aziende i crediti che non riescono a esigere dalla pubbliche amministrazioni».
(Paolo Nessi)