Se il ministro del Welfare, Elsa Fornero, ammette preoccupazioni per il prossimo autunno e per il futuro del sistema industriale italiano, si limita in fondo a “sfondare una porta aperta”. Ma è pensabile che per questa “sua scoperta dell’acqua calda” non raccoglierà molti applausi. In questi mesi decine, centinaia di imprenditori italiani hanno fotografato una situazione problematica e contrassegnata da una grande incertezza sul futuro della propria impresa.
Il nuovo leader degli industriali italiani, il Presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, pur facendo continui richiami alla coesione nazionale, ha messo sotto accusa, fin dal giorno del suo insediamento, l’elenco dei problemi italiani che sembrano la negazione della cultura di impresa.
Per la crisi finanziaria del 2009, nata a livello internazionale, e per quella dei debiti sovrani, scoppiata esattamente un anno fa, l’Italia è oggi coinvolta in una recessione dopo anni di non crescita. In questi anni, diversi imprenditori italiani hanno fatto letteralmente dei “miracoli” restando competitivi sul mercato globale. L’emergere ad esempio, alla fine degli anni Novanta, di quello che l’Ufficio Studi di Mediobanca ha battezzato “quarto capitalismo” è una realtà, forse ancora piccola, ma che ha ridisegnato il sistema produttivo italiano, dove si è fatta largo la media impresa ben capitalizzata, dotata di un brand di prim’ordine, di una grande e tradizionale eccellenza in alcuni settori produttivi, e che ha puntato sopratutto sul mercato estero. Trascurando, al contempo e per fortuna, la finanza.
Probabilmente la doppia crisi (2009-2012) sta creando problemi anche a questa nuova fascia di belle aziende italiane. I problemi del sistema produttivo italiano sono noti. Bisognerà anche mettere in conto una scarsa volontà di investire, ma qualcuno sembra sempre dimenticare che la pressione fiscale, il Total taxe rate, è il più alto del mondo. Lo ha calcolato il sociologo Luca Ricolfi, con un libro splendido e documentato “La repubblica delle tasse”. Se il totale delle tasse alla fine sfiora quasi il 70 percento per una persona che fa impresa, quale tipo di investimenti può permettersi di fare? Il secondo grande problema è il soffocamento burocratico, la serie di autentici muri burocratici che ci si trova di fronte quando si fa impresa.
Il resto, tra la lentezza della giustizia, la stessa difficoltà per gli adempimenti fiscali, la fatica a recuperare crediti, prima dallo Stato (circa cento miliardi di euro) e poi dai privati, è nota da molti anni. In una situazione, che dura da parecchio tempo, così poco favorevole, per non dire ostile, a chi produce ricchezza, la recessione e la crisi hanno fatto da detonatore nel sistema italiano. Ora, dopo gli allarmi lanciati da studiosi come Ricolfi, da imprenditori come Squinzi, non arriva solo il ministro Fornero, ma lo documentano Uffici studi quello che sta accadendo.
Spiegano all’Ufficio Studi di Mediobanca, ad esempio, che fare impresa in Italia non è remunerativo perché il guadagno non è sufficiente a ripagare il costo del capitale, tanto è vero che nelle attività industriali vi è stata una distruzione di ricchezza pari a 1,4 punti.
Lo spiega l’indagine del 2012 “Dati cumulativi di 2032 imprese italiane”. I grandi gruppi visti nella loro dimensione italiana sono quelli che hanno sofferto di più, mentre è stata più contenuta la sofferenza delle medie e grandi imprese.
La distruzione di valore ha risparmiato le sole imprese a controllo estero, grazie alla elevata redditività del capitale. Per fare un altro ritratto della situazione di difficoltà della situazione italiana, ci pensa poi Confcommercio. Su una classifica di 26 Paesi, l’Italia, per pagamenti irregolari e tangenti, precede solo la Slovacchia, il Messico e la Grecia. Ma non è solo questo che dice Confcommercio. Sempre sulla classifica di 26 paesi l’Italia risulta ultima per l’efficienza del sistema giudiziario. Ma l’Italia è in coda alla classifica soprattutto nel grado di complessità della burocrazia.
Si dice in termini perentori dagli osservatori internazionali che l’Italia soffre in maniera accentuata di eccessiva burocrazia. Si pensi solo a un dato: nell’adempimento degli obblighi fiscali in Italia occorre un numero di ore cinque volte superiore a quello del Lussemburgo. Com’è possibile in queste condizioni favorire le imprese e la cosiddetta crescita? Se ci si aspettava qualche cosa da un “governo di tecnici” e da una politica di respiro europeo, si poteva proprio pensare a un sostegno all’impresa, a una spinta liberale, a un arretramento dello stato burocratico e ossessivo nei confronti dell’ impresa. Invece, le strozzature burocratiche sono sempre le stesse e in più, per la crisi dei debiti, sovrani è arrivata pure una cascata di tasse. Realisticamente, in queste condizioni, come si può fare impresa in Italia?