Alla fine il premier l’ha ammesso. “Le nostre decisioni”, ha detto Mario Monti riferendosi all’azione del governo tecnico nell’ultimo anno, ossia da quando si è insediato in sostituzione del dimissionario governo Berlusconi, “in parte hanno contribuito ad aggravare la congiuntura economica”. Ma “solo uno stolto può pensare di riuscire a incidere su un male che dura da decenni senza causare nel breve periodo un aggravamento della situazione”. Parole che non lasciano spazio a fraintendimenti, espresse in un discorso in cui il premier ha profilato all’orizzonte finalmente anche misure per la crescita. Monti ha infatti parlato di 50 miliardi da stanziare “entro fine legislatura” da destinare a interventi infrastrutturali. Per commentare quanto detto dal presidente del Consiglio abbiamo sentito il professore di Economia applicata all’integrazione europea alla Cattolica di Milano, Giuseppe Colangelo. A lui abbiamo chiesto anche lumi circa la clausola “salva-industria” allo studio della Commissione europea, un intervento i cui dettagli saranno resi noti il prossimo ottobre che servirà a sostenere la produzione industriale e delle Pmi nei paesi dell’Ue.
Professore, come giudica le parole di Mario Monti? La via intrapresa dal suo governo era veramente l’unica possibile?
Credo che fosse imprescindibile risanare il bilancio dello Stato per mettersi nelle condizioni di poter soddisfare i requisiti richiesti dalla lettera della Bce dell’anno scorso. E giudico positivamente l’approccio del governo: ovvero prima risanare i conti dello Stato e continuare a farlo e solo successivamente – fase in cui ora dovremmo essere – liberare le risorse per poter investire di più sul Paese. È chiaro che questo ha significato tassazione aggiuntiva per famiglie e imprese, fatto che ha contribuito a deprimere l’economia. Ma in un’ottica di breve periodo non si poteva avere tutto. Ritengo che il -2,6% nelle previsioni sul Pil non si spieghi tutto con il risanamento del governo italiano. Pesa anche la crisi globale. Penso in definitiva che un punto percentuale o anche un punto e mezzo di Pil perso dipenda dall’azione del governo, ma saremmo comunque in recessione. Non dimentichiamo che la Germania e la Francia hanno economie quasi ferme e che la Spagna è in recessione.
Secondo Monti, tocca anche a sindacati e imprese fare la loro parte. Così come il governo ha fatto la sua parte, Monti ha detto di aspettarsi, a nome del Paese e dei cittadini, che anche imprese e sindacati facciano qualcosa di più. Lei come interpreta una simile richiesta?
Bisognerebbe entrare nel merito di casi specifici, ma credo che Monti alluda a quegli imprenditori che diventano molto avversi al rischio pensando più alla loro famiglia che non ai dipendenti quando, per esempio, decidono di chiudere la loro impresa. Mentre per quanto riguarda i sindacati credo si riferisca alla necessità di appoggiare l’azione del governo anziché convocare uno sciopero generale.
Il governo, ha aggiunto il premier, punta a sbloccare 50 miliardi di euro entro fine legislatura per interventi infrastrutturali per incrementare la produttività. Finalmente misure per la crescita?
Questo è ancora tutto da vedere perché non sappiamo né da dove il governo prenderà questi denari, né che tipo di investimenti effettuerà.
Monti ha parlato anche della necessità di ridurre il cuneo fiscale sulle imprese. Ci sono imprenditori che ne avrebbero bisogno come l’aria…
Sarebbe un incentivo importante per chi vuole assumere. Andrebbe pensato un aiuto fiscale per chi investe favorendo l’occupazione e soprattutto per chi assume i giovani che sono il futuro di questo Paese.
Secondo il presidente di Confindustria Squinzi serve un tavolo strategico imprese-governo per definire le priorità nei settori e nei mercati. Concorda?
Credo che ci voglia un po’ di concertazione con le parti sociali e con gli imprenditori, in particolare per avviare un minimo di politica industriale individuando i settori sui quali puntare di più.
Quali?
Sarebbe il governo a dover fare un’analisi di politica industriale per capire dove investire al meglio le risorse. Finora si è parlato di investimenti in campo digitale per migliorare l’interconnessione del paese, ma credo che servano anche interventi specifici per le pmi rendendo accessibili a loro i finanziamenti.
Stando a quanto riportato dal Sole 24 ore la Commissione europea sta studiando una clausola salva-industria. Si tratta di fissare dei limiti nei singoli paesi Ue al di sotto del quale la produttività della manifattura non può andare. Per l’Italia sarebbe il 18 o forse il 20% del pil, inclusa parte delle costruzioni. Analoga quota del 18% dovrebbe essere riservata agli investimenti e il 13% per le pmi che investono all’estero. Cosa ne pensa?
È ancora tutto molto per aria. Sono numeri non ancora ben radicati nella realtà e non è chiaro cosa si voglia fare. Dobbiamo aspettare per poterli commentare.
Intanto cosa chiede al commissario Ue all’industria Tajani? Cosa deve fare in Europa per l’Italia?
L’Unione europea dovrebbe appoggiare il rinnovato interesse del governo italiano per una politica industriale. Si tratta di promuovere progetti che permettano di sfruttare di più i fondi che giacciono nella comunità e che già ci spettano. A partire da quelli delle regioni italiane dell’obiettivo convergenza.
(Matteo Rigamonti)